Venezia, estate del 1491. Il celebre umanista toscano Angelo Poliziano è in casa del giovane Pietro Bembo per studiare un manoscritto di Terenzio. Ciascuno dei due annota le varianti testuali sulla propria copia a stampa – entrambe esposte, nuovamente riunite per la prima volta da allora – e per Bembo è l’occasione per apprendere da Poliziano quel rigore filologico che caratterizzerà l’intera sua opera.
Con questo episodio si apre il percorso espositivo della mostra patavina, undici sale in tutto, un percorso carico di suggestioni e di immagini, affascinante ma mai banale, godibilissimo da un pubblico inesperto e allo stesso tempo di grande interesse scientifico anche per uno studioso del settore. La mostra è organizzata per nuclei tematici ben definiti e l’allestimento, pulito e chiaro nelle didascalie, presenta una selezione di opere (dipinti, sculture, bronzi, arazzi, strumenti musicali, medaglie, opere a stampa) di altissima qualità, in un intreccio di rimandi e parallelismi con la produzione letteraria di Bembo e dei suoi contemporanei.
La prima sala tratteggia il contesto di provenienza e di formazione di Bembo, presentando alcuni libri appartenuti alla bVenezia, estate del 14iblioteca del padre Bernardo, fra cui una copia dei Quaedam antiquitatum fragmenta di Giovanni Marcanova e una copia della Divina Commedia con un disegno di Pietro e Tullio Lombardo per la tomba di Dante, e un dittico di Hans Memling databile al 1470-75, testimonianze di un interesse rivolto tanto al mondo classico (romano) quanto alla contemporanea cultura fiamminga. A questo imprinting famigliare si aggiunge l’esperienza messinese durante la quale, a partire dal 1492, Bembo studia il greco alla scuola di Costantino Lascaris, entrando in contatto con i luoghi e l’immaginario della mitologia antica, tanto cari agli artisti del primo Rinascimento. È in questa occasione che Bembo srive il De Aetna, pubblicato nel 1496 e qui esposto assieme a un bronzo di Andrea Briosco detto il Riccio raffigurante un Satiro seduto che beve a imitazione dei modelli greco-romani.
Seguono nella seconda sala alcuni dipinti di Giorgione e di Giovanni Bellini accostati al manoscritto degli Asolani in un raffinato parallelismo fra il “ritratto dell’anima” nella letteratura e l’atteggiamento introspettivo della nuova forma di ritrattistica in pittura, ponendo l’accento sul tema dell’amore. All’amore è dato particolare risalto nella sala successiva dedicata all’esperienza nelle corti di Ferrara, Urbino e Mantova, con lo scambio appassionato con Lucrezia Borgia e la conseguente dedica degli Asolani, con la prima edizione dell’Orlando furioso di Ariosto, una versione delle Storie di Damone e Tirsi dipinta da Andrea Previtali e un prezioso esemplare di lira da braccio recante inciso, in greco, “il canto è per gli uomini il medico del dolore” accompagnata da una raccolta di rime per musica dedicate a Elisabetta duchessa d’Urbino. Se già qui Bembo viene a contatto con un fervore artistico senza pari e con artisti la cui fama supera i confini locali, la parentesi romana, a fianco di giganti come Raffaello e Michelangelo, al servizio di un papa illuminato quale è Leone X e in un contesto fortemente pregno di testimonianze tangibili del mondo antico, segna il culmine della vicenda, con un connubio e uno scambio fra arti e artisti e fra antico e moderno irripetibili. La raccolta di medaglie, arazzi, bronzetti e sculture in granito dai rimandi dichiaratamente classici rispecchiano tutto il fascino per un mondo estinto regnato dall’armonia. Per la prima volta le rovine non sono viste come semplici “presenze”, ma come testimonianze da rilevare e da salvare nell’ottica, tutta ideale, di una ricostruzione dell’antico espressa nella famosa Lettera di Raffaello e Castiglione a Leone X (1511). Reperti archeologici e disegni di rovine si alternano ai progetti per la nuova San Pietro e villa Madama, in una rete di rimandi formali e citazioni, accanto alle edizioni a stampa del De Architectura di Vitruvio (1511) e delle Cinque maniere de gli edifici di Sebastiano Serlio (1537).
La morte di Raffaello nel 1520 e la morte di Leone X nel 1521 segnano la fine della vicenda romana di Bembo, il quale, vista sfumare l’opportunità di essere nominato cardinale, si ritira a Padova dove acquista una proprietà e realizza il sogno di costruire una dimora all’antica, radunando una delle prime collezioni archeologiche, ammiratissima dai contemporanei. Di questa raccolta, senza la pretesa di ricostruirne l’originaria consistenza, sono esposti alcuni pezzi significativi fra cui una serie di busti, l’Antinoo Farnese, un Erote dormiente e l’egizia Mensa Isiaca a cui si aggiungono un moderno San Sebastiano di mano di Andrea Mantegna e alcuni volumi della biblioteca.
Il percorso prosegue rapido nelle ultime tre sale attraversando l’ultima fase della vita di Bembo, nuovamente a Roma, dalla nomina a cardinale nel 1539 (cui segue il ritratto eseguito da Tiziano nel 1539-40, qui esposto in uno spazio di ampio respiro) alla morte. È una fase segnata dall’amicizia con Vittoria Colonna e da una grande spiritualità, in una dimensione di raccoglimento interiore in netto contrasto con quella ruggente della prima fase romana. Alle Rime spirituali della Colonna, nella forma manoscritta del 1541, fanno eco due piccole opere devozionali, il Cristo portacroce di Sebastiano del Piombo (1535-40) e il Cristo in croce di Michelangelo (1540). Nel frattempo, con lo sbarco in laguna dello scultore e architetto Jacopo Sansovino nel 1527, il linguaggio artistico veneziano ha subìto una svolta irreversibile sotto gli influssi del Rinascimento toscano e romano, lasciando spazio a forme magniloquenti, a un gusto plastico movimentato e materico e a una codificazione estetica di matrice radicalmente classicista. Ne sono testimonianza due terrecotte di Sansovino, dai forti aggetti e dalla resa chiaroscurale, La Sapienza, uno stuccoforte del fiorentino Bartolomeo Ammannati e il Busto di Bembo scolpito da Danese Cattaneo per il monumento funebre del cardinale nella basilica del Santo a Padova.
Chiude la mostra una suggestione, un Sogno manoscritto del 1491-92 in cui Bembo descrive una figura femminile, forse la Virtù, la quale lo esorta a spendersi al meglio nella vita intellettuale; un sogno a cui Bembo di fatto resterà sempre fedele.
La mostra, allestita nel Palazzo del Monte di Pietà , in Piazza Duomo 14 a Padova, rimarrà aperta al pubblico fino al 19 maggio 2013.
Francesco Marcorin