Il Teatro Carlo Felice è stato uno dei più importanti Teatri d’Italia, vorrei ricordare brevemente che dopo essere stato colpito da pesanti bombardamenti durante la II guerra mondiale rimase, quale spettrale simulacro, in città per anni. In quel periodo la Stagione lirica si svolgeva al Cinema Teatro Margherita che, pur in sede modesta, proponeva cartelloni di gran prestigio sia per titoli che per cast . Dopo tormentati ed annosi anni in cui si alternarono nuovi progetti che, per un motivo o per l’altro, non riuscirono a vedere la luce, la ricostruzione e la consegna ufficiale del teatro alla città avvenne nel giugno 1991. Il pubblico si vedeva finalmente restituito un bel teatro – piazza, metaforico luogo d’incontro e scambio, sotto un cielo ‘stellato’ su cui si aprivano poggioletti e finestre quasi a suggellare aperture e scambi tra l’Ente stesso e la società che, da sempre, dovrebbe nutrirlo e renderlo vivo; credo dunque sia legittimo che si pretenda da questo Ente una serietà di programmazione che si sposi alla serietà della sua storia ed importanza culturale e sociale.
Sto per parlare di “Rigoletto” presentato ai primi del mese nel prestigioso teatro ligure e, nel suo complesso, lo spettacolo, specie dal punto di vista prettamente teatrale mostrava non pochi motivi di interesse alternati ad indubbie perplessità specie sotto il profilo prettamente musicale.
La regia era affidata a Rolando Panerai che si è mostrato ancora una volta, pur in altra veste, accurato e modernissimo uomo di teatro.
Sembrerà strano ai più che io usi il termine ‘moderno’ in quanto lo spettacolo si svolgeva nella più squisita delle tradizioni ma , come io scrivo spessissimo, molto spesso si scopre una più autentica modernità in una lettura attenta della partitura piuttosto che in altre operazioni spesso discutibili.
Il melodramma è teatro, è sempre stato così e così sarà sempre, dunque non può certo insterilirsi in scontate e reiterate letture registica ma può bensi, partendo da queste, creare un prodotto efficace e stimolante. La scelta di base di Panerai, in collaborazione con il bravo scenografo Enrico Musenich e la notissima e creativa stilista Regina Schrecker, è stata quella di fare uno spettacolo utilizzando il materiale scenografico in dotazione alla Fondazione Teatro Carlo Felice, una specie di teatro di riciclo dunque, che innesta nella tradizione un concetto di teatro in musica attualissimo e quanto mai vincente.
L’azione di Rigoletto come si sa è ambientata nel XVI secolo presso la corte del Duca di Mantova e proprio su quell’ambientazione, con tutti i suoi sfarzi ed eccessi, si impernia la narrazione scenica. L’esasperazione artistica con le sue allegorie, corrisponde alla vuota reggia che circonda il Duca in cui nessuna espressione è concessa se non quella della contemplazione della bellezza, la sua fruizione e rapida sostituzione con qualcosa di più intrigante, nuovo, divertente (quale concetto più attuale nella nostra epoca dominata dal possesso delle ultime tecnologie e dal relegamente della comunicazione verbale a una funzione avvilente e quasi schiava?) a scapito di un mondo di sentimenti autentici e contrastanti (Rigoletto, Gilda ) schiacciato e dominato da una logica che gli schiaccia in una posizione di frustrata quanto rassegnata contemplazione.
Panerai lavora molto bene sui caratteri dei personaggi riuscendo a delineare efficacemente le linee teatrali che ne legano le azioni (es. Sparafucile – Maddalena) con un risultato complessivamente di sicuro interesse ed intensa drammaticità.
Sul palcoscenico si muoveva la seconda compagnia di canto , che , come si sa, negli Enti dovrebbe essere, se non del livello della prima per popolarità o appeal, certamente di buon livello artistico.
Così è stato infatti per il baritono Stefano Antonucci , impegnato nel ruolo del titolo , che si è, nel suo complesso, assai ben comportato. Pur non possedendo infatti la timbrica ideale per affrontare il ruolo, lo ha saputo altresì ben delineare sfruttando le caratteristiche della propria vocalità, dando maggior spazio e spessore ai momenti più intimisti rispetto a quelli più drammatici e declamati . Un bel Rigoletto il suo, complessivamente parlando, anche se naturalmente più sbilanciato sul versante teatrale , ma non è un biasimo.
Non all’altezza invece la prestazione del tenore Ji Myung Hoon. Dotato di un rimbro, certo rilevante ma di non particolare bellezza , il suo canto si caratterizzava per una precaria intonazione che lo portava spesso ad aprire i suoni e a non essere preciso musicalmente . Tutto ciò influenzava naturalmente la sua interpretazione scenica e teatrale che , esaminata nel suo complesso risultava alquanto scialba e convenzionale.
Purtroppo anche la Gilda tratteggiata dal soprano Gabriella Costa non si mostrava all’altezza della produzione.
Il timbro troppo esile per il ruolo e non particolarmente interessante per colore non trovava naturalmente agio nella partitura verdiana che esige un soprano (non stiamo ad approfondire il discorso sulla timbrica perchè, ad oggi, non si può più fare) musicalmente preciso, sensibile e teatrale, doti che l’artista non ha mostrato di possedere.
Di altro spessore la prova di Andrea Mastroni (Sparafucile) dotato di un’ interessantissima vocalità da autentico basso profondo a cui univa una giusta musicalità e sensibile teatralità e la Maddalena di Annunziata Vestri che, ad una presenza teatralmente giusta e convincente, accompagnava un’uguale corretta e sapiente vocalità, mai disgiunta dalla cura della parola. Complimenti ad entrambi!
Completavano il cast: Anna Venturi (Giovanna), Fabrizio Beggi (Un convincente Monterone), Filippo Balestra (Marullo), Giampiero De Paoli (Borsa), Alessio Bianchini (Il Conte di Ceprano), Simona Marcello (La Contessa), Loris Purpura (un usciere di corte) e Simona Pasino (un paggio).
Dirigeva l’Orchestra del Teatro Carlo Felice con professionale cura , anche se troppo spesso l’assieme veniva perso e la lettura orchestrale risultava confusa, il M° Carlo Rizzari .
Professionale il Coro del Teatro Carlo Felice diretto dal M° Patrizia Priarone.
La sala, gremitissima in ogni ordine di posto, testimoniava l’affezione e la fedeltà del pubblico genovese al suo teatro , pubblico sempre generoso di applausi e che forse meriterebbe di essere gratificato con una maggior cura nelle scelte artistiche e musicali.
Silvia Campana