Si tratta di un romanzo del 1983, edito in Italia da Gli Adelphi, ottava edizione 2013.
I tre protagonisti: il pianista canadese Glenn Gould, Wertheimer e l’autore stesso, tutti abili musicisti, si ritrovano al Mozarteum di Salisburgo, negli anni cinquanta, a frequentare un corso del noto maestro Vladimir Horowitz. Qui, messi di fronte al grande talento di Glenn, gli altri due decidono di ritirarsi e vivono in profondo e angosciante senso d’inferiorità, che li conduce ad abbandonare definitivamente lo strumento.
Mentre Thomas, soprannominato da Glenn “il filosofo”, riesce a superare lo stato di delusione di tale condizione attraverso un’attenta riflessione che spazia tra la memoria del periodo giovanile e quello del confronto con i due amici, Wertheimer non riesce a sostenere il peso del suo insuccesso, aggravato dall’abbandono della sorella, con cui aveva un legame esasperato e si rivela essere “il soccombente” che Glenn aveva ravvisato in lui.
La lettura di questo racconto non risulta sicuramente facile. Si tratta di un lungo monologo, il soliloquio di un Bernhard che si avvale di numerosi flashback. L’autore ripercorre continuamente gli stessi ricordi per rivelare al lettore le motivazioni delle scelte esistenziali fatte dai personaggi.
Tutta la narrazione ruota attorno a pochi ma fondamentali elementi:il successo, il fallimento e l’abbandono, che vengono proposti con tale insistenza da risultare talvolta ossessivi, proprio come il comportamento degli stessi protagonisti.
Dal punto di vista espressivo, nel testo dominano le descrizioni dettagliate e simboliche dei paesaggi, visti talora come quadri desolanti attraverso il finestrino di un treno, altre volte percepiti come detestabili e deprimenti. Salisburgo stessa viene accusata di essere “la morte dell’arte”, mentre la Svizzera un territorio ottuso e abitato da “ gente odiosa”.
Altro elemento chiave sono gli aforismi, molti dei quali riaffiorano tra le righe. Addirittura uno dei personaggi, Wertheimer, dedica la sua vita a scriverne centinaia, pur nella consapevolezza che sono “ repellenti strategie per imbrogliare l’umanità con piccolissime trovate che mirano ad effetti grandiosi”.
Sarà egli stesso a dar fuoco a tutti i suoi scritti, testimoniando con questo atto di non essere riuscito a concretizzare la sua massima: “ Solo passando attraverso l’infelicità possiamo essere felici”.
Prendendo spunto dal romanzo è stata ideata una versione teatrale per la regia di Nadia Baldi, con Roberto Herlitzka e Marina Sorrenti, messa in scena il 16 marzo 2013 al Teatro Metastasio di Prato.
Daniela Marani