Negli ultimi anni si contano a centinaia, in Italia, le vittime della furia e della violenza maschile, donne sopraffatte dalla gelosia, paura di abbandono e onore calpestato. La cronaca, soprattutto in questi giorni, rivela come il femminicidio sia un fenomeno in continua esplosione, una dinamite incontrollabile la cui miccia prende fuoco non solo negli ambienti più depressi della società, ma anche nelle fasce culturalmente ed economicamente elevate, là dove il peso di un insuccesso affettivo risulta forse più difficile da superare.
A ritroso nel tempo, anche molto lontano, un’attenta ricerca storico-sociale mette subito in evidenza come le donne siano state sempre bersaglio di uomini incapaci di affrontare le sconfitte sentimentali, incapci di accettare le scelte definitive di mogli e fidanzate, ritenendole spesso esseri in loro possesso.
Il caso trattato nel romanzo,per metà storico e per metà frutto d’invenzione, è quello della giovanissima Isolina Canuti, popolana veronese trovata morta nell’Adige dentro un sacco e fatta a pezzi durante l’inverno del 1900. Nonne e bisnonne ricordano sicuramente l’eco di questa tragedia, questa brutale aggressione verso una donna che sconvolse gli animi dei cittadini, accentuando lo scontro politico tra conservatori monarchici difensori dell’esercito e antimilitaristi; la responsabilità del delitto venne infatti attribuita ad un ufficiale di nobile famiglia.
Qui l’autrice, che negli anni ottanta ha lavorato al caso per la sua tesi di laurea, da un lato utilizza le approfondite ricerche per tracciare lo spaccato umano che anima il racconto e fornire informazioni certe e documentate, dall’altro assume una posizione singolare, quella del tenente Trivulzio, visto come amante coinvolto e sincero, anche se troppo debole per far fronte ad un destino così lontano da quello scelto tra le truppe dell’esercito, nel corpo degli alpini.
C’è un filo poetico che lega i due amanti, un profondo sentimento intreccia i loro animi così come i loro corpi, in quella povera ed essenziale stanza in affitto, nel centro di Verona. Mirella Zanon ha voluto, pur nella tragedia,caricare di dignità la giovane Isolina, quella dignità che scaturisce dall’amore del tenente, un amore simile al sogno che la storia reale le ha invece negato.
La lettura del testo, pubblicato da Giulio Perrone Editore nel 2009, risulta piacevole e coinvolgente, soprattutto per le numerose introspezioni psicologiche vissute dai due amanti. Il lessico è preciso e non di rado ricorrono termini arcaici, sicuramente adeguati ad esprimere l’epoca in cui si svolge la storia. Il finale risulta sospeso, aperto forse ad un seguito sia giuridico che umano: noi lettori rimaniamo in attesa di un eventuale proseguimento della storia che narri, questa volta, l’epilogo di un uomo rimasto solo con le sue paure e, forse, con i suoi rimorsi.
Daniela Marani