Si è svolta a Verona la terza edizione di “Sguardi”, la festa/vetrina del teatro contemporaneo veneto,che, nelle giornate del 19, 20 e 21 settembre 2013, ha visto diversi teatri e spazi della città occupati dalle compagnie teatrali venete professioniste, selezionate da un’apposita commissione, in una manifestazione no stop dal mattino alla sera.
“Sguardi”, che nelle precedenti due edizioni si è svolto a Venezia e a Belluno, è un interessante appuntamento annuale voluto dal PPTV ( Produttori Professionisti Teatrali Veneti) in collaborazione con la Regione Veneto, che a rotazione sceglie una provincia del veneto per selezionare quanto c’è di meglio tra le proposte del teatro professionista veneto, con il duplice obiettivo di fare il punto della situazione sul nuovo teatro contemporaneo veneto e di mettere in relazione tra loro compagnie, critici, giornalisti e operatori teatrali.
E’ d’obbligo segnalare la particolare cura con cui il Teatro Scientifico, residenza teatrale veronese di riferimento di Sguardi per questa edizione, si è prodigata nel dare indicazioni e accompagnare il pubblico nei diversi teatri, approntando mezzi di spostamento e tutte le informazioni cartacee necessarie per la permanenza in città.
Preceduto da un interessantissimo Convegno Nazionale nella giornata del 18 settembre 2013 dal tema:” Teatri e Territori: etiche ed estetiche,” presso la Tomba di Giulietta, poi seguita da due spettacoli ospiti fuori rassegna, la manifestazione si è anche interrogata sul rapporto teatro/territorio, con la presenza e il contributo di autorevoli operatori teatrali di diverse regioni italiane, coordinati dal critico teatrale Andrea Porcheddu.
Un convegno a nostro avviso troppo breve, esauritosi nell’arco di un pomeriggio, vista l’importanza dei temi, la qualità degli interventi, la differenziazione delle posizioni e la necessità del dibattito, che stava entrando in dinamiche interessanti proprio in chiusura, pur noi ravvisando un grosso limite nella scarsa presenza proprio di quelle realtà residenziali cui sarebbe stato rivolto e la cui assenza desta perplessità e interrogativi.
Parliamo sia dell’ assenza di alcune tra le Compagnie promotrici del PPTV, sia di quella ancor più significativa di tutte quelle realtà sparse nel territorio e spartite tra le diverse province venete, pensando a quelle più vicine nonostante la valenza nazionale del Convegno.
Questi i relatori presenti: Gimmi Basilotta: presidente Associazione Piemonte delle Residenze- Vice presidente ANCRIT, Fabio Biondi: L’Arboreto- Teatro Dimora Mondaino, Roberto Cuppone: Laboratorio Olimpico di Vicenza, Università di Genova, Francesco d’Agostino: presidente ANCRIT, Maria Teresa De Gregorio: Regione Veneto, dirigente delle attività culturali e spettacolo, Franco D’Ippolito: Coordinatore Progetti Europei attività di spettacolo della Regione Puglia, Edoardo Donatini: Teatro Stabile Metastasio- Prato, Pierluca Donin: direttore Arteven- Circuito Teatrale Regionale, Daniela Nicosia: regista e membro Commissione Artistica di Sguardi, Franco Oss Noser: Presidente Agis Triveneto, Paolo Valerio: direttore Teatro Stabile di Verona, Laura Valli: Presidente Associazione Etre, Andrea Porcheddu:critico teatrale e coordinatore degli interventi.
In particolare, in considerazione del rapporto tra teatro e territorio è stata affrontata la definizione di “residenza”, che racchiudendo in sé una molteplicità di aspetti, di funzioni, di motivazioni e di risposte al territorio, ha visto sottolineature ed angolazioni interpretative diverse.
Si è anche sottolineata la preoccupazione che la mancanza di un orientamento chiaro comune sul concetto di residenza possa incidere negativamente su una legislazione nazionale che potrebbe decidere in autonomia, indipendentemente dalla realtà fattuale e dalle reali esigenze: in sostanza una legge calata dall’alto, senza cognizione di causa.
Molto interessanti i diversi interventi, che hanno posto l’accento sulla funzione del teatro e in particolare su quella dei professionisti del teatro, e che hanno guardato alla realtà teatrale complessiva, ciascuno portando le esperienze della propria regione, con “urgenze” e letture diverse: da quella di Franco D’Ippolito della regione Puglia, che invita a rompere gli schemi precedenti per ripensare ad un nuovo concetto di residenza teatrale, a quella di Maria Teresa De Gregorio, dirigente della regione veneto, preoccupata a governare e a incanalare la già sovrabbondante produzione teatrale territoriale.
Il dibattito, che prosegue dagli anni precedenti, non si è certamente esaurito e si prevedono futuri appuntamenti dislocati anche in altre regioni: appuntamenti a nostro avviso irrinunciabili per quanti si trovano a lavorare professionalmente nell’ambito teatrale e che certamente contribuiranno a chiarire problematiche e speriamo ad accordare risposte.
CONSIDERAZIONI GENERALI SUGLI SPETTACOLI
Al termine del Festival/vetrina del teatro Veneto “Sguardi”, non possiamo che essere invasi da un complessivo senso di delusione per le opere presentate , tra complete, estratti o ancora in lavorazione, pur riconoscendo lo sforzo della commissione di selezione, coordinata dal critico Andrea Porcheddu, di proporre una panoramica dei diversi linguaggi possibili: dal teatrodanza al teatro ragazzi, dal teatro civile al cineteatro, dal teatroconcerto fino ad una sezione riservata agli under 30.
Gli spettacoli, aperti al pubblico al biglietto simbolico di 1 euro, hanno visto una scarsa partecipazione complessiva dei non addetti ai lavori, che solo in alcuni casi hanno affollato la platea.
Parliamo degli spettacoli visionati da Traiettorie: 13 su 22, oltre ai due “ ospiti”, fuori rassegna, in scena la giornata d’apertura: “Arbeit” del Teatro Bresci- 2° Premio Teatro Off 2012 Teatro Stabile Veneto e “Macbeth all’improvviso”, esempio di spettacolo di teatro di figura per adulti, spassoso ed intelligente, di Gigio Brunello, maestro indiscusso di burattini, vincitore di numerosi premi, unico artista invitato non professionista, sull’onda del successo con cui è stato accolto anche l’anno scorso e che ancora una volta si riconferma spettacolo di qualità, capace di accordare giudizi di entusiasmo unanimi.
Fa riflettere l’indiscusso successo di Brunello,accompagnato per l’occasione dal vivo dalla tromba David Boato e dalla voce Rosa Brunello. Probabilmente il suo è lo spettacolo più convincente di “Sguardi”( per quanto fuori rassegna), e testimonia la particolare fertilità del teatro di figura che non sembra risentire della più generale crisi del mondo del teatro in ordine sia alle produzioni che alle idee e alla qualità della loro messa in scena, a giudicare anche dalle numerose Compagnie e produzioni venete e non, presenti, segnalate e premiate in Festival nazionali ed internazionali. Fa riflettere anche perchè un “non professionista” come Brunello, si dimostra capace di imporsi alla critica e al pubblico, dimostrando maggiore competenza e professionalità di altri professionisti.
Per ciò che invece riguarda gli spettacoli inseriti nella rassegna, deludenti ci sono parse non solo alcune delle nuove compagnie selezionate, quanto anche alcune delle nuove produzioni delle compagnie residenziali storiche venete, le più rappresentative del Festival, quelle che contribuiscono ad organizzarlo.
Ce ne rammarichiamo: dovrebbero dare l’esempio. Può succedere che uno spettacolo non riesca e tante sono le variabili che concorrono alla sua realizzazione, tanti i problemi da risolvere e ogni percorso dall’idea al prodotto finale risente di varie difficoltà strutturali, organizzative, economiche, a volte non direttamente imputabili a chi le produce, ma riteniamo anche che un serio professionista sappia riconoscerlo e debba, con umiltà ,“ passare il turno” se necessario.
In linea generale, in questo Festival, sembra si sia assotigliato il teatro d’attore e particolarmente il corpo dell’attore con la sua relativa presenza scenica: un corpo che diventa uno dei possibili strumenti del comunicare, cioè utile ma non indispensabile.
Altre evidenze riguardano proprio i lunghi monologhi con unico attore in scena, tutti affidati alla minore o maggiore bravura dell’interprete di turno, accompagnati da poche azioni e da rari interventi significativi di regia, così come la scarsa presenza di gruppi in scena, probabilmente dettata anche da ragioni di praticità organizzativa ed economica.
E’ evidente che questa tendenza di restrizione d’organico determina anche diverse modalità espressive, non più poggiate sulle relazioni tra attori, ma al contrario centrate, nella migliore delle ipotesi, su percorsi di scavo interiore, in cui le azioni esterne e spesso lo spazio vengono riassorbite nelle intenzioni mentali, riducendo sensibilmente la sfera d’azione del protagonista, almeno quella visibile.
Nella peggiore delle ipotesi, quando uno specifico, approfondito e personale percorso di ricerca non viene intrapreso, il risultato è un ovvio impoverimento espressivo del teatro e delle sue potenzialità.
“Arbeit” è un esempio emblematico del primo tipo.
Per tutto lo spettacolo l’attrice Anna Tringali rimane inchiodata alla sedia, mentre racconta in prima persona tutto il concentrato possibile dei problemi di oggi: la violenza sulla donna, la mancanza di tutela sul lavoro, la crisi finanziaria, in un crescendo emozionale interiore, peraltro convincente al punto di meritare il Premio Off, che però poco spazio lascia ad altro.
In linea generale, non ci sembra ci sia la volontà o la capacità di approfondimento nelle messe in scena, spesso carenti, tanto sul piano di regia ,che soprattutto sul piano drammaturgico, piano quest’ultimo che tradisce una carenza di idee e che spesso si rifugia o nel già visto, o in testi di personalità carismatiche.
Siamo certi che queste caratteristiche e “ costanti”, presenti a “Sguardi” disseminano anche il mondo più generale della produzione teatrale, ciononostante non riconosciamo nella vetrina di quest’anno la qualità attuale del teatro veneto, che fortunatamente versa, sempre secondo il nostro personale giudizio, in migliori condizioni. E non ci riferiamo a compagnie o solisti già noti al grande pubblico, o vincitori di premi, o segnalati dalla critica, piuttosto ad un mondo sommerso di realtà teatrali autonome, che producono e propongono rassegne nel proprio territorio e che come giornale incontriamo per visionare spettacoli da recensire.
Questi gli spettacoli visti a “Sguardi”: “ Ci sono notti che non accadono mai” (Vasco Mirandola), “Pop Economix Live Show” ( Associazione Pop Economic), “Goliarda” (Associazione Rimacheride/ Compagnia Cristiana Raggi), “Onorata società Il Vajont dopo il Vajont (Fatebenesorelle Teatro), “I Blues” ( Compagnia TrePunti) “La favola di Orfeo” (Tib Teatro), “Spring Boy” (Woodstock), “Nostra Italia del miracolo” ( Arkadis Associazione Culturale), “La chiamarono Maria” ( La Piccionaia- I Carrara/ Teatro Stabile d’innovazione), “Iai” (Tam Teatromusica), “Patatrack” (Barabao Teatro), “ Lluvia de Flora ( Murmure Teatro) e infine “Orgia “ ( Teatro Scientifico), già precedentemente recensito.
I SOLISTI TRA MONOLOGHI E SPERIMENTAZIONI
Tra i monologhi segnaliamo “Nostra Italia del miracolo”, in cui la brava e preparata Maura Pettorruso ci porta a ritroso, attraverso i giornali, in un’Italia ricca di spinte e contraddizioni, dal periodo fascista ad oggi, con un’interpretazione densa e convincente, capace di reggere pause e riflessioni. Interessante il testo di Giulio Costa, tratto da “Il Mio Novecento” di Camilla Cederna, ricco di sfaccettature e venato d’ironia.
Nonostante la messa in scena riuscita, senza dubbio una delle migliori, ci sarebbe piaciuta però una regia, sempre di Giulio Costa, più presente, capace di sottolineare contenuti ed atmosfere e di arricchire le azioni sceniche ridotte al minimo.
Lo spettacolo è una co-produzione Trento Spettacoli/Arkadis.
Segnaliamo anche in positivo “ Onorata società Il Vajont dopo il Vajont”, produzione di “Fatebenesorelle Teatro”, qui in breve estratto ancora incapace di darci il senso del tutto, ma già sufficientemente volitivo, con una Patricia Zanco -che ne firma anche la regia insieme a Daniela Mattiuzzi – scenicamente forte, capace di usare spazio, voce e corpo.
Meno convincente sul piano teatrale “ Pop Economix Live Show”, produzione Pop Economix con Alberto Pagliarino: una narrazione teatrale di impegno civile, esempio di teatro sociale, il cui fluire ininterrotto di concetti, motivazioni e conseguenze nella spiegazione della crisi finanziaria d’oggi, pur ben documentato e ben condotto, ha espresso i propri limiti nella serratezza di un testo senza pause né respiri, che non ha lasciato spazio ad interpretazioni, a giochi teatrali, ad azioni sceniche o a contributi linguistici diversi dalla parola: ammirevole lavoro di documentazione, di capacità di concentrazione attoriale anche, ma poco teatrale.
Del tutto opposta la scelta in “Lluvia de Flora- lontano dalle città dove si compra e vende”, produzione di Murmure Teatro per la regia di Nicoletta Zabini, in cui i monologhi di Elisa Zacco, ispirati alla vita e all’opera di Alejandra Pizarnik, vengono ampiamente dilatati in azioni e danza e commentati da video a grande parete. Qui, a parte qualche idea o soluzione originale, abbiamo l’impressione complessiva del “datato”, e molto materiale, a volte interessante, ci sembra ancora destrutturato, in attesa di trovare sintesi soddisfacenti.
Esempio di monologo ancora diverso è “Goliarda”, dell’Associazione Rimachèride/ Compagnia Cristiana Raggi, scritto, diretto e interpretato da Cristiana Raggi, ispirato a due testi di Goliarda Sapienza: “L’arte della gioia” e “Il filo di mezzogiorno”. Il corpo qui quasi scompare. L’attrice fa brevi apparizioni e tutta la messa in scena è affidata ad un video che anche per dimensioni riempie lo spazio scenico. Qualitativamente buono il video di Liviana Davì: interessanti i contenuti e suggestive le immagini, ma ci chiediamo: l ‘attore dov’è?
Lo riteniamo comunque uno spettacolo interessante e di spessore.
Identica domanda scaturisce da “Iai”, produzione del Tam Teatromusica, di e con Alessandro Martinello, performance tutta giocata in tecnologia. L’attore qui presta il proprio corpo ad un computer e il corpo diventa elemento di trasformazione e proiezione: “… controverse parole obbligano continuamente a ricercare una nuova sintonia interiore/esteriore dell’identità”, cita la presentazione.
La performance, decisamente ermetica e giocata tra l’interazione di immagine, suono e gesto, si colloca alla frontiera del teatro, probabilmente interessante per i cultori del genere, ma di difficile comprensione per un pubblico teatrale abituato a linguaggi più trasparenti e maggiormente comunicativi.
Qualcuno potrebbe chiedersi se la tecnologia sia un mezzo o un fine. Questo dal punto di vista della godibilità di pubblico.
Da un punto di vista più strettamente semantico/linguistico, pensiamo però anche che “Iai” simbolizzi un nuovo spostamento d’interesse da parte di alcuni settori del teatro di oggi, più performativi, che mettono in crisi il concetto di identità/corpo come unità individuale indipendente, frutto di una storia, per proporre un corpo eternamente ridefinito e sollecitato da input esterni e interni, spesso esso stesso input di cambiamento di un contesto scena multimediale in cui il corpo diventa uno degli elementi in gioco: un deciso cambio di rotta rispetto a tutto quel teatro di ricerca che aveva sostanziato il senso del teatro nella presenza scenica dell’attore, affidando proprio al corpo la centralità carismatica della comunicazione.
I GRUPPI PRESENTI AL FESTIVAL
Cominciamo da “ Orgia”, allestimento del Teatro Scientifico, su testo di Pier Paolo Pasolini e per l’interpretazione e la regia di Isabella Caserta e Francesco Laruffa .Un testo e una messa in scena intensi e drammatici di cui abbiamo già dato resoconto. Indubbia la profondità del lavoro e la bravura degli interpreti, indipendentemente dal livello di gradimento dell’opera che potrebbe, ma stavolta in modo sano, spaccare il pubblico per le scelte coraggiose adottate.
Un bel respiro di sollievo di fronte a “Patatrack”, ultima produzione del Barabao Teatro, che si riconferma compagnia interessante per originalità, capacità di conduzione ed espressività comunicativa. Anche questo spettacolo ,come i loro precedenti, seppure presente solo in estratto, appare come un perfetto gioco di squadra, calato nel presente e venato da leggera ironia. Sempre interessante la loro scelta di avvalersi di specifici linguaggi, ben padroneggiati, che mutano al mutare del tema scelto: in questo caso per l’iperefficienza della protagonista squadra di protezione civile il linguaggio è parzialmente mutuato dall’arte circense.
Poco convincente la prova della Compagnia TrePunti “I Blues”, con gli attori Sara Bettella, Claudia Gafà e Demis Marin che hanno ripreso uno dei 4 atti unici di Tennesse Williams: “ La lunga permanenza interrotta”. Non deludente tanto in chiave interpretativa, quanto piuttosto nella non ben chiara motivazione della scelta, che ha portato ad una messa in scena un po’ piatta, nonostante l’aspirazione dichiarata di parlare di crisi: di quella americana come di quella odierna.
Ancora meno convincente l’allestimento “ Spring Boy” di Woodstock, con l’attore protagonista Michele Scarlatti e liberamente ispirato agli scritti di Brendan Behan. Lo spettacolo è stato selezionato per gli under 30. Stavolta l’idea, almeno inizialmente, sembra interessante e molteplici gli spunti scenografici ricchi di implicite possibilità, così come l’utilizzo teatrale di diversi oggetti di scena che si animano e si trasformano, ma le pretese sono troppo alte, l’attore e la Compagnia troppo giovani e troppo poco preparati sia ad affrontare uno spettacolo così complesso e così ricco di tanti linguaggi, sia a padroneggiare tematiche di colore così forte: “ …..rivoluzione, terrorismo,prigionia politica, pena di morte, colonizzazione come forma di schiavitù, ricerca della libertà e cambiamento del nostro oggi.” Grossi problemi di regia a tenere unito il tutto e a farlo interagire. Possiamo apprezzare lo sforzo e, anche se insufficiente, il lavoro intrapreso e ammirare un’ambizione di contenuti non così scontata oggi, soprattutto in giovani generazioni.
Ma la messa in scena così com’è non regge.
Infine “ Ci sono notti che non accadono mai”, teatroconcerto omaggio ad Alda Merini ,di e con Vasco Mirandola come voce recitante: voce suggestiva e di spessore, a sottolineare in chiave interpretativa parole ed atmosfere della poetessa Ada Merini, accompagnato da Giorgio Gobbo, voce e chitarra, Sergio Marchesini, fisarmonica, piano, Toni De Zanche, contrabbasso,tutti in una esibizione intensa e partecipata.
Se è indubbio che il retroterra culturale attoriale segna la differenza, come in questo caso, e che Mirandola ha dimostrato, secondo il nostro parere, di essere capace di creare atmosfere, ci dispiace che si sia ritirato “ in angolo” in questa rassegna di Sguardi 2013, preferendo il “reading “al lavoro attoriale a piena scena. Come a dire che l’operazione è ottimamente riuscita, anche per la qualità degli altri interpreti, ma ci ha privato ( peccato) del suo probabile interessante lavoro d’attore.
IL TEATRO RAGAZZI
E’ doveroso aprire una parentesi sul “teatro ragazzi”, evidentemente considerato espressione teatrale di serie B. “ D’altronde” mi disse un amico “ se un attore è bravo non si ferma al Teatro ragazzi!”
Eppure secondo noi invece esiste una specificità di linguaggio, ( che deriva dalla conoscenza profonda del mondo del bambino, del farsi del suo pensiero, dei suoi ritmi e del suo senso estetico)
che fa sì che alcuni attori abbiano le qualità per il teatro ragazzi e altri no.
Ciò che sembra emergere da entrambi gli spettacoli visti: “ La favola di Orfeo” del Tib Teatro e “ La chiamarono Maria” di “La piccionaia-I Carrara” è una concezione di bambino che non condividiamo: quella del “ facilmente accontentabile”. Noi invece lo riconosciamo come curioso, attento, logico e fortemente motivato al nuovo.
Ci è sembrata una drammaturgia carente, fumosa e per nulla convincente quella di Daniela Nicosia in“La favola di Orfeo”, che ne firma anche la regia, così come l’intera messa in scena, molto descrittiva e poco attiva, povera di “ necessità”e priva di quel fascino che il tema trattato avrebbe potuto accendere,con una scenografia spesso solo decorativa e uno svolgimento a ritmo altalenante, nonostante gli attori Silvia Nanni e Solimano Pontarollo si siano prodigati per dare ciò che potevano, a nostro avviso senza convincere pienamente.
Altrettanto assente di mordente ci è sembrata la drammaturgia di “La chiamarono Maria”, la storia di Maria e della natività di Gesù, interpretati dall’esperta Ketty Grunchi e dalla figlia sedicenne Delfina Pevere, in cui il suggestivo utilizzo delle luci e alcune soluzioni sceniche accattivanti, con originali tentativi d’inserto, non riescono a far decollare la storia, che rimane incapace di destare particolare interesse.
Il teatro ragazzi ci sta particolarmente a cuore, perchè dovrebbe essere stimolo, pungolo, positivo input, non solo per il possibile futuro pubblico amante del teatro, ma anche perchè gli riconosciamo una funzione educativa, culturale, positiva e propositiva. Spesso invece il teatro ragazzi diventa goliardico intrattenimento, performance superficiale. A volte si prende la scorciatoia del consenso facile: basta infilare qualche parolaccia e qualche strana faccia o scimmiottare comportamenti tipicamente infantili perchè i bambini ridano e si divertano. A pensarci bene non è operazione molto diversa da ciò che si fa anche purtroppo nel teatro per adulti, quando l’obiettivo non è quello di “far pensare” ma di “rilassare”, non è quello dell “originale” ma quello del “già noto”, non quello della “ricerca comunicativa” ma quello dell’imitazione televisiva, non quello dell’interazione attiva, ma della fruizione passiva. Il cervello va in vacanza. Non parliamo di “pesantezze” di contenuti che nessuno ama, semplicemente di contenuti, giocati in modo particolarmente godibile data la tenera età…., ma di contenuti.
IL SENSO DELLA CRITICA PER NOI: APPUNTI PER UN DIBATTITO
Ovviamente questo è il nostro personale punto di vista, che è anche quello che anima la ragione della nostra critica: uno strumento di discussione più che un desiderio di sentenziare, un apporto per creare un dibattito intorno a temi che sembrano essere così poco condivisi e frequentati, un modo per migliorare la salute complessiva del teatro, attraverso un sano dibattito che vada ad affrontare i nuclei dello scollamento scena/ platea e che coraggiosamente e onestamente sappia riconoscere i propri limiti per superarli e migliorarsi. Siamo consapevoli che il nostro punto di vista è parziale, limitato dalla nostra parziale conoscenza, condizionata dalle personali esperienze artistiche vissute, dai linguaggi incontrati, dal gusto personale e dall’ambiente in cui ci siamo formati, ma siamo anche consapevoli che possa essere, insieme a quello di altri, un punto di vista privilegiato, per il contatto continuo con l’ambiente teatro, le sue produzioni, il confronto tra stili, linguaggi, spinte, motivazioni e pubblico. Un punto di vista da spettatori informati e attenti.
Sembra davvero anacronistico oggi un atteggiamento di “ attenzione” a temi che potrebbero apparire “assurde finezze”, mentre il mondo intorno crolla, ma è l’unico modo che abbiamo per difendere la qualità del teatro e il nostro amore per la cultura , il rispetto per il lavoro di quanti vi operano, pur nei personali inevitabili limiti, ma soprattutto il desiderio di promuovere lo spirito di ricerca e di confronto anche a livello critico, nella pluralità motivata delle posizioni.
Sarebbe bello poter pensare che il mondo degli operatori del teatro, così come ciascun mondo di operatori di cultura, di arte, di musica, potessero liberamente scambiarsi idee, progetti, esperienze, soluzioni, in una condivisione di spazi e di mezzi, invece che farsi la lotta l’un l’altro come purtroppo spesso succede.
Sarebbe bello.
Emanuela Dal Pozzo