Un percorso disseminato di dolore e violenza quello lungo il quale Fabrizio Gatti ha condotto il pubblico del Teatro Camploy la sera di sabato 9 settembre 2013. Un incontro caratterizzato dalla lettura, da parte dell’autore, di brevi passi del testo “Bilal – Viaggiare, lavorare, morire da clandestini”, edito da Rizzoli nel 2007.
Con questa inchiesta da infiltrato sui sentieri dell’emigrazione illegale dall’Africa all’Europa, il giornalista ha ottenuto il premio letterario internazionale Tiziano Terzani nel 2008, a Udine.
Si tratta di una sorta di diario nel quale lo scrittore affida i suoi ricordi, le sensazioni, le sofferenze vissute nel viaggio che lo ha portato, assieme a tanti disperati, dal Senegal fino alla Libia, lungo la via dei clandestini. Con loro ha percorso zone desertiche ostili e impervie stipato in camion fatiscenti, ha superato rigidi controlli a posti di blocco simili a gironi infernali e vissuto violenze e soprusi di ogni genere.
“ Ma quando arrivi in Libia, il peggio non è ancora passato. Attraversato il Mediterraneo non si è arrivati in Paradiso!” scrive Gatti.
I Centri di Permanenza Temporanea sono luoghi che assomigliano più a lager che a istituzioni di umana accoglienza. E quanti riescono ad infiltrarsi in territorio italiano rimangono comunque clandestini, destinati al lavoro nero nei cantieri o nei campi. Qui si fatica molte ore per pochissimi soldi, e si è vittime di trattamenti violenti e umilianti da parte dei caporali.
Gatti, artefice di una lettura abile, accattivante e coinvolgente (qualità piuttosto rare al giorno d’oggi!), ha rivelato al pubblico una realtà che, nonostante tutto, rimane ancora oscura e della quale ci arrivano notizie spesso distorte e poco conformi alla realtà.
Ad accompagnare le sue parole, ascoltate in un rispettoso silenzio dal numeroso pubblico presente in sala, Gualtiero Bertelli, alla fisarmonica e alla chitarra, e La Compagnia delle Acque: basso, sassofono, tastiera, percussioni e voce, professionisti del fare musica, abili maestri nel riprodurre anche i suoni e le voci dell’Africa.
Il punto di forza dell’evento è stato senza dubbio il fatto che la musica non fosse al “servizio” del lettore, una sorta di corredo o abbellimento, ma un armonico percorso sonoro in stretta sintonia con quello della voce narrante, una musica perfettamente integrata al contesto, espressione del contenuto stesso: una voce nella voce.
Adottando uno stile incalzante, diretto e pulito, Fabrizio Gatti, che collabora con il settimanale “L’Espresso”, ha illustrato una delle tante tragedie che caratterizzano il nostro presente, forse la più vicina a noi italiani.
Daniela Marani