Originale la messa in scena dello spettacolo “ La radio e il filo spinato”, al Teatro Portland di Trento nelle giornate del 24, 25 e 26 gennaio 2014, nonostante più che uno spettacolo teatrale vero e proprio l’allestimento stia tra la narrazione e il teatro di figura, in cui i marchingegni, le sagome/ pupazzo create e gli oggetti utilizzati siano il suo punto forte.
Abbiamo visionato la replica del 26 gennaio.
Fin dall’inizio i due interpreti Roberto Abbiati e Luca Salata, che ne firmano anche la regia con l’assistenza di Lucia Baldini, avvisano che più che essere uno svolgimento lineare di un tema lo spettacolo si avvarrà di testimonianze per descrivere la vita, la prigionia e la morte di Padre Kolbe, ammazzato nel campo di Auschwitz dall’Ufficiale Medico con una puntura di acido fenico.
Le testimonianze emergono, a tratti con brani letti, altre volte agite con soluzioni fertili ideate dai due attori: i prigionieri dei lager sono simbolizzati da barattoli anonimi o da altrettanto anonime figurine di carta ritagliata. Suggestive sono le atmosfere create in una scenografia informale e particolareggiata, ricca di strumenti ed oggetti, in cui la radio con la propagazione delle sue onde, grande passione di Padre Kolbe, diventa elemento centrale, anche simbolico, a significare l’idea di Padre Kolbe che ci sono cose, come le onde radio, che vanno oltre e che non puoi fermare.
Ciononostante ci sembra che lo spettacolo possa venire ulteriormente approfondito e che nel montaggio di regia nel collegamento tra una scena e l’altra non si evidenzi quella “necessità” consequenziale atta ad offrire unitarietà al tutto: una scelta registica coraggiosa nel rompere schemi preconfezionati, nell’entrare ed uscire dallo spettacolo da parte dei due protagonisti quali osservatori esterni, operazione comprensibile a celebrazione di una giornata “alla memoria”, ma che si paga con un allentamento della pregnanza emotiva e con lungaggini di ritmo e tempi.
Coinvolgente l’immagine finale, traduzione visiva della testimonianza resa durante il processo dall’Ufficiale Medico del campo di sterminio di Auschwitz, circa le ultime parole pronunciate da Padre Kolbe prima di morire e rivolte al suo assassino: “Lei non ha capito nulla della vita. L’odio non serve a niente…. Solo l’amore crea.”
Emanuela Dal Pozzo