Stracolma di studenti, insegnanti e appassionati lettori, l’aula T2 del Polo Zanotto, venerdì 11 aprile, per accogliere il Premio Nobel 2006 per la Letteratura Orhan Pamuk. L’incontro è stato organizzato dal dipartimento di Filologia, Letteratura e linguistica in collaborazione con l’Ufficio Comunicazione dell’Ateneo veronese, e presieduto dal prof. Massimo Salgaro, ricercatore del dipartimento di Lingue e Letterature Straniere, che, affiancato dalla prof.ssa Silvia Bigliazzi, ordinario di Letteratura inglese, e dalla dottoranda Pinar Ozutemiz, ha condotto l’intervista all’autore.
Dopo un saluto di apertura del rettore Nicola Sartor e del prof. Bottari, è iniziata incalzante e a tratti divertente la presentazione dello scrittore e delle sue opere. A stimolare la curiosità dei presenti ha contribuito sicuramente l’esposizione spedita e a flusso libero di Pamuk, e la correlazione che egli è riuscito a instaurare tra “vita narrata” e “vita reale” concretizzando, nella sua Istanbul, il “museo dell’innocenza” che prende il nome e l’idea dal suo romanzo edito, in Italia, da Einaudi nel 2009.
Una lezione di storia e cultura, tutta in lingua inglese, durante la quale è emersa la carica emotiva e la “ricerca dell’anima malinconica della sua città”, che affiora spumeggiante ma anche tragica dai personaggi del romanzo e dalle evoluzioni sentimentali di cui sono protagonisti Fusun e Kemal.
Si tratta di un libro costellato di innumerevoli flash di una Turchia fine anni ’70, ma anche di un museo vero e proprio, inaugurato nel 2012, allestito in un vecchio palazzo del 1897, nel cuore della città, nel quartiere di Cukurcuma. Nel suo interno trovano collocazione, in 83 vetrine (una per ogni capitolo), 1100 oggetti di ogni genere: biglietti dell’autobus, vestiti, orologi, anche 4123 mozziconi di sigarette. Simbolicamente sono gli stessi che Kemal raccoglie come consolazione in ricordo della sua giovane amante perduta. “Per accumulare tutti questi oggetti ho impiegato circa 15 anni” ha rivelato Pamuk in più occasioni, “alcuni li ho fatti costruire da abili artigiani per riportare a galla il volto di una città che oggi non c’è più, con le sue passioni e le sue contraddizioni”.
Egli è l’unico ideatore-finanziatore di questa grande impresa, che sicuramente ha arricchito di una nuova tessera il puzzle artistico-culturale di Istanbul; un museo scrigno a custodia di preziosi cimeli che costituiscono i fotogrammi della memoria, e non solo quella di Pamuk.
Sia il romanzo che il museo preservano i dettagli di un’identità, anche se il museo non è l’illustrazione del libro, ma serve a rendere il dramma della vicenda. La sua realizzazione ha trovato ispirazione nel Guggenheim di N.Y. per la sua struttura a spirale, dove i visitatori possono osservare ed osservarsi sempre, dall’alto al basso.
Pamuk ha approfondito numerosi temi attinti dai suoi romanzi come il concetto di tempo e le sue diverse misurazioni, l’amore e la passione, il sentimento della malinconia definita “nobiltà del fallimento, rassegnazione dalla vita”.
“Scrivo perché, in questo modo, riesco a vivere meglio la difficile realtà che mi circonda…Avrei voluto diventare un pittore, poi ho scoperto la scrittura”. Certamente Pamuk, pur avendo abbandonato colori e pennelli, riesce a dipingere quadri di grande trasporto emotivo usando uno strumento altrettanto espressivo come la parola.
Daniela Marani