La Messa in do minore K. 427/417a e il Requiem in re minore K. 626 di Wolfgang Amadeus Mozart sono ritenuti indubbiamente i due massimi capolavori del grande musicista nell’ambito della musica sacra ed entrambi rimasero incompiuti ma quella mancanza di finitura , come già nella ‘Pietà Rondanini’ di Michelangelo, invece di limitare la creazione sembra per contrasto ampliarla, illuminandola di indefinibili significanti. Nel Requiem fu la morte a fermare per sempre la mano del compositore mentre vergava il Lacrimosa , mentre l’incompiutezza della Messa è dovuta a cause meno luttuose e più, se , così può dirsi, commerciali. Mozart aveva infatti iniziato a comporla per una sua autonoma decisione, un voto per la guarigione della amata Konstanze, uscendo per una volta dal rigido meccanismo della committenza che regolava la produzione musicale dell’epoca; ma non erano tempi in cui un musicista potesse liberamente dedicare il suo tempo ad una composizione priva d’una precisa destinazione e quindi la Messa in do minore fu messa da parte a favore di lavori più urgenti.
La composizione della partitura non obbediva dunque a una committenza (che esigeva per la musica sacra composizioni contraddistinte da semplicità e brevità) ma fu scritta da Mozart come offerta votiva per il superamento delle difficoltà che si frapponevano al suo matrimonio e allo stesso tempo come un dono all’amata Konstanze, dunque per motivazioni personali. In una lettera inviata al padre da Vienna il 4 gennaio 1783, il ventisettenne Wolfgang rivela di aver fatto “una promessa nel [suo] cuore” e che “la migliore prova di questa promessa è la partitura d’una Messa che ancora aspetta d’essere completata”. Da questa stessa lettera si deduce che, fin dall’inizio, Mozart pensava di far eseguire la sua Messa a Salisburgo. Effettivamente la prima volta che vi si recò dopo il suo matrimonio portò con sé la partitura e continuò a lavorarvi, ma il giorno previsto per l’esecuzione, il 26 ottobre 1783, la Messa era ancora incompiuta e probabilmente venne integrata con pezzi di altre messe sempre di sua composizione . Il giorno dopo il compositore ripartì per Vienna e non avrebbe più visto la sua città natale, né avrebbe più portato a termine questa Messa, di cui aveva scritto per intero il Kyrie, il Gloria e il Sanctus-Benedictus, mentre il Credo era interrotto all’lncarnatus est e per di più era lacunoso nell’orchestrazione e l’Agnus Dei mancava totalmente. Due anni dopo, a Vienna, avrebbe riutilizzato il Kyrie e il Gloria nell’oratorio Davide penitente K. 469.Nonostante l’incompiutezza, la Messa in do minore è la più vasta, complessa e impegnativa composizione sacra di Mozart.
Ora (continuando una tradizione inaugurata nel 2010 dall’Accademia Filarmonica di Verona quale dono alla città in occasione delle celebrazioni per la Settimana Santa con il “Requiem” di Mozart e proseguita gli anni successivi con il “Requiem op. 48” di Fauré , “Le ultime parole di Gesù sulla croce” di Franck e lo “Stabat mater” di Rossini) San Fermo ritorna, (dopo il recente mozartiano Requiem) luogo deputato alla grande musica offrendo i suoi spazi proprio a questo capolavoro nella preziosa interpretazione de “i Virtuosi italiani” e del “Coro Marc’Antonio Ingegneri” diretti dal M° Giovanni Petterlini. Le parti soliste erano affidate a Anna Chierichetti (soprano), Stefanna Kybalova (soprano), Cosimo Panozzo (tenore) e Martin Ng (basso).
L’esecuzione si è rivelata preziosa sotto molti profili tutti riconducibili ad una sapiente direzione che ha saputo ben armonizzare la raffinata partitura nella quale coro, orchestra e voci soliste concorrono a creare quel capolavoro d’intensa armoniosità e compostezza che ben conosciamo e che ad ogni ascolto non cessa di emozionare e coinvolgere. Così, mirabile , in particolare, si è levato il “Et incarnatus est” dove la bella vocalità di Anna Chierichetti ha saputo ben esprimere ed interpretare il dettato mozartiano così sapientemente cesellato, nella totalità dell’esecuzione, dall’impasto vocale del coro assai ben armonizzato nel tessuto orchestrale.
Una chiesa gremita, come sempre, ed applausi entusiastici per tutti gli esecutori siglavano una serata riuscitissima che , ancora una volta, testimoniava un percorso, quello di Don Tiziano Brusco (appoggiato dalla Diocesi veronese guidata da Monsignor Giuseppe Zenti, peraltro presente al concerto) concentrato su di una comunicazione a 360° attraverso l’arte e la musica, dove la gratuità non è sinonimo di scarso valore ma dono generoso all’altro di qualità e valore inestimabile e credo che un messaggio migliore, oggi , non possa esistere e l’entusiasmo emozionato del pubblico che segue fedelmente ogni appuntamento ne sia la concreta e continua riprova.
Verona, San Fermo, 15/04/2014
SILVIA CAMPANA