L’attuale Palazzo della Ragione, monumento storico situato tra Piazze delle Erbe e Piazza dei Signori, era in epoca romana un edificio privato.
Sede di diverse istituzioni politiche e amministrative, è solo dal XII secolo, dopo il terremoto che rase al suolo la città, che il Comune entrò in possesso dello spazio per edificare il Palacium Comunis Veronae ( Palazzo del Comune), uno dei primi palazzi pubblici d’Italia.
Da allora le sue funzioni divennero molteplici, diversificate nei diversi periodi storici e soggette alle decisioni dei vari governi. Divenne così spazio di riunioni del Consiglio Cittadino, magazzino del sale, dazio della seta, Ufficio dei Pegni e Banco di Giustizia durante la signoria Scaligera (1262-1387), sede del Collegio dei Notai nella seconda metà del XIV secolo, sede degli Uffici Giudiziari, carcere, Collegio professionale, Ufficio Sanitario e Camera Fiscale sotto la Repubblica di Venezia (1405). Fu solo nel 1493 che il Palazzo, diventato sede del principale organo giudiziario, fu chiamato Palazzo della Ragione.
Anche il suo cortile ebbe un’importanza strategica per le sorti della città, così nel 1576, a seguito della carestia e dell’epidemia che investirono Verona, diventò “mercato vecchio” ( per distinguerlo da quello del grano di Piazza Erbe), rivolto ai poveri, con la vendita di farine a prezzo calmierato, mentre nella seconda metà dell’800 divenne prestigioso luogo d’incontro culturale ed artistico, a seguito della presenza in alcuni spazi del Palazzo della Ragione dell’Accademia di Belle Arti Giambettino Cignaroli.
Oggi il Palazzo della Ragione è ridiventato un nuovo centro espositivo permanente con quattro stanze bene illuminate che raccolgono un’eredità artistica di grande pregio a coprire un secolo particolarmente rappresentativo non solo in Verona ma anche nella più ampia visuale internazionale ( 1840- 1940).
La mostra,aperta al pubblico dall’aprile di quest’anno e curata da Luca Massimo Barbero , fonde l’eredità delle collezioni della Fondazione Domus Cariverona, di Unicredit e della collezione GAM (Galleria d’Arte Moderna Achille Forti).
Se la Sala della Torre introduce alla mostra con alcune sculture tra cui “Orgia” (1851-54) di Torquato Della Torre, sculture che disseminano anche le sale successive, la seconda Sala delle Colonne, che deve il suo nome alla presenza di colonne costruite nel diciassettesimo secolo a supportare il peso delle prigioni sovrastanti, contiene il tributo dell’arte in dialogo tra il Palazzo e la città: testimonianze di eventi e personaggi del tempo. Alcune tele risultano particolarmente interessanti per la brillantezza e la vivacità dei colori. Vi troviamo dipinti di Karl Theodor Von Piloty, Silvestro Lega, Vittorio Avanzi, Ferrarin, Giuseppe Ferrari , Giuseppe Zannoni, Francesco Hayez, Giacomo Fiamminghi e Pietro Rossi, stampe dell’epoca a ritrarre il Mercato Vecchio, la Loggia del Consiglio, la Scala della Ragione e la Torre dei Lamberti e sculture di Innocenzo Fraccaroli, Ugo Zannoni, Torquato della Torre. Già con la successiva sala quadrata il dialogo artistico si amplia, contaminato dalle nuove tendenze di fine secolo, attraverso le opere di Medardo Rosso, Angelo Dall’Oca Bianca, Carlo Donati, Giovanni Fattori, Vettore Antonio Cargnel, Alfredo Savini, Emilio Praga ed altri, a lasciarci incantati nell’incontro con le allora nuove sensibilità artistiche capaci di lasciare un segno nella storia dell’arte. Ma è nell’ultima sala la Picta, quella che contiene i lavori dei primi decenni del ‘900 di artisti tra i quali Felice Casorati, Baldassarre Longoni, Alfredo Savini, Arturo Tosi, Guido Trentini, Pio Semeghini, Gino Rossi, Ardengo Soffici, Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Filippo De Pisis, Giorgio Morandi, che veniamo introdotti ai complessi ed affascinanti movimenti artistici d’inizio secolo. Tratti delicati visionari e asprezze materiche, frutto a volte di contrapposizioni filosofico/artistiche dell’epoca, in dissenso ad esempio con l’arte ufficiale della “Biennale” ( pensiamo alle rotture di stile di Gino Rossi) ci riportano ai linguaggi più universali europei, oltre i confini veronesi ed italiani, mentre le nuove visioni dell’arte s’incontrano con gli eventi storici contemporanei.
In conclusione una mostra di grande spessore, un patrimonio artistico invidiabile della città, che non vorremmo rivolta solo ai turisti, così come ci viene da pensare dai depliant, spiegazioni, inserti ed introduzioni cartacee scritte solo in lingua inglese.
Emanuela Dal Pozzo