David McVicar è oggi uno dei registi più celebrati e amati del panorama teatrale musicale internazionale e questo per tutta una summa’ di motivi . In un momento, infatti, in cui ferve e si accanisce sempre più la lotta ( in palcoscenico ed in platea) tra alfieri della teatralità più pura dell’evento musicale, svincolato da qualsiasi legame con partitura e libretto, ma concentrata nel rendere puro teatro il momento della rappresentazione dal vivo dei loro strenui difensori ( se c’è scritto nel libretto verone sulla sinistra così deve essere fatto) il regista britannico si pone in mezzo , proponendo raffinati spettacoli che, per la cura e la
profondità della realizzazione, mettono entrambi in accordo e questo nuovo allestimento in coproduzione con “Scottish Opera”(Glasgow) di “The Rake’s progress” di I. Stravinskij,
presentato dal Teatro Regio di Torino nel corso della corrente Stagione,- abbiamo assistito alla messa in scena del 15 giugno 2014- ne è stato, ancora una volta, la prova lampante.
Ben lontano dall’attaccarsi al soggetto per tratteggiare il solito scontato ritratto di una società corrotta , McVicar parte dai quadri di Hogarth, che ispirarono Stravinskij, e cerca di trasmettere la su profonda teatralità e modernità servendosi di un gioco spazio -temporale rigoroso e drammaticamente efficace.
Le semplici strutture di un teatro di stampo elisabettiano incorniciano da principio la scena e sono , mano a mano, animate da quinte dipinte o velari calati che alludono in modo chiaro al tema della morte ( così come il sipario dipinto che accoglie il pubblico in sala ), incastonate in una regia che , sempre a cavallo tra tradizione ed ironia , tratteggia le tematiche con felice colpo di pennello (fantastiche le scimmie che accompagnano in scena Baba la turca così come la figura di Mother Goose ) mettendo in evidenza , con giusto e teatrale intuito, le svariate tematiche teatrali della partitura che , come si sa , é divisa in quadri e da questa forma attinge forza e peculiarità .
Un lavoro naturalmente sostanziato da una lettura approfondita della pièce, cesellata attraverso il lavoro con l’ottimo cast scelto ,nella sua interezza , tenendo ben presente la dinamica e decisamente ben costruita impostazione registica .
Così il Tom Rakewell di Leonardo Capalbo combinava la bella vocalità con una teatralità completa , per nulla a disagio di fronte al ritmo dinamico impresso dalla regia al suo personaggio come fantastico ,sotto ogni profilo , si poneva il magnetico Shadow di Bo Skovhus .
Con qualche sbavatura ,ma strettamente tecnica specie nel registro acuto in cui il suo timbro perdeva espressività assottigliandosi un pô troppo , assai ben compensata da una grande cura nel fraseggio ed emozionale teatralità , si poneva la Anne di Danielle de Niese, così come autorevolmente centrato appariva il Trulove di Jakob Zethner e l’ottima Baba di Annie Vavrille.
Completavano il cast : Barbara di Castri (Mother Goose), Colin Judson (Sellem) , Ryan Milstead (il guardiano del manicomio) e Lorenzo Battagion (una voce) .
Gianandrea Noseda, alla guida dell’Orchestra del Teatro Regio, impostava ritmi forse un pó troppo rigorosi al cast di questo spettacolo che guardava ad un equilibrio tra i vari generi, raro quanto calibrato.
Infatti qualche scollamento e disarmonia è stata rilevata rispetto alla totalità dell’insieme ma il grande successo tributato dal pubblico che gremiva la sala testimoniava un pieno gradimento e rispetto per questo spettacolo che trovava, nella sua teatrale quanto musicale coerenza, la sua completa centralità .
Silvia Campana