ORIZZONTI VERTICALI: INTERVISTA AL DIRETTORE ARTISTICO DEL FESTIVAL TUCCIO GUICCIARDINI

Perchè un Festival teatrale alla sua seconda edizione quest’anno a San Gimignano e perchè il nome “Orizzonti verticali”?

Dal 2001 abbiamo una realtà residenziale qui a San Gimignano, unica realtà riconosciuta dalla regione Toscana, radicata quindi nel territorio e ci è parso inevitabile giungere ad un Festival capace di accogliere compagnie, critici, studiosi ed appassionati di teatro in questo sito urbanisticamente perfetto: protetto dalle mura da un lato e urbanisticamente“verticale”, come l’intento principe del Festival, un luogo che”costringe” gli ospiti ad una vicinanza forzata, che non possono sottrarsi ad una comunicazione diretta. Tornando all’accostamento di questi due termini che suonano antitetici “ orizzonti” e “verticali”, essi mirano ad obiettivi precisi: concentrare lo sguardo sui possibili “orizzonti” futuri del teatro, partendo dall’attuale scollegamento generazionale “ verticale” che ci sembra oggi uno dei problemi più importanti. Ci vogliamo interrogare cioè da un lato sull’assenza di punti di riferimento dei giovani attori e dall’altra sulla necessità di non disperdere tutto quel patrimonio esperienziale delle generazioni precedenti, che rischia di morire nell’avvicendamento naturale. Ma ci sono anche problemi di natura istituzionale, nella salvaguardia dell’esistente, nel rispetto delle spinte verso un rinnovamento del sistema.

Ora invece ti chiedo, in qualità sempre di direttore artistico, quali sono stati i criteri che hai utilizzato per scegliere le compagnie e gli spettacoli e se hai operato una selezione anche in ordine agli invitati.

E’ ovvio che rispetto agli spettacoli ho fatto una cernita anche in base alle mie conoscenze dirette,ma ho cercato soprattutto di rispettare il senso del Festival e della sua verticalità, con accostamento voluto di generazioni diverse a confronto, che ha portato ad un incontro tra diversi linguaggi. Mi riferisco alla danza per esempio, accostando un coreografo di vecchia generazione come Micha van Hoecke alla Clinica Mammut, compagnia affermatasi nell’ambito dei nuovi linguaggi, ma è solo un esempio perchè tutto il festival è percorso in chiave temporale. Per quanto riguarda gli altri invitati, in particolare nel settore critico teatrale, non ho effettuato alcuna selezione, al contrario ho dato ampia comunicazione, pur registrando quest’anno un calo di presenze rispetto allo scorso anno, dovute probabilmente al cambio di data dell’appuntamento.

In qualità di regista, invece, di “Giardino Chiuso” la Compagnia che tu dirigi a San Gimignano, mi sono domandata, dopo avere visto gli spettacoli” Il Supermaschio” a Giavera del Montello e qui in questo Festival “Mi chiamo Dino… sono elettrico” se esiste una poetica, un filo conduttore che lega le tue produzioni e che vi caratterizzi.

Direi di no. Le cose succedono quasi per caso. Dico quasi perchè pur non essendo preordinate, decise a tavolino, a posteriori mi accorgo che le “coincidenze” che vanno ad intersecare ad esempio tempi e contenuti sono tutt’altro che casuali. Posso dire che nella Compagnia si fondono due anime, nella vita e nell’arte: la mia, forte di un’esperienza e formazione teatrale e quella di mia moglie Patrizia, di danzatrice e coreografa. E che sono particolarmente motivato a progetti in cui confluiscano artisti di formazione diversa. Non è un caso ad esempio che in questa ultima produzione, ma non solo, collabori con lo scrittore e drammaturgo Vassalli.

Mi parli di questa tua ultima produzione “ Mi chiamo Dino… sono elettrico”?

Lo spettacolo, in versione diversa da questa, aveva già debuttato alcuni anni fa. In quella prima messa in scena gli attori erano più numerosi. La riduzione del cast ha comportato ovviamente anche un’operazione di revisione del testo. Lo spettacolo, dedicato al poeta Dino Campana, acquista in questa nuova versione una crudezza maggiore. Del poeta non mi interessava tanto l’opera, presente nello spettacolo in sole quattro poesie, piuttosto la sua drammatica vicenda umana, il suo essere “negato” come persona e come poeta, una negazione sottolineata anche dalla scelta del luogo in cui si svolge l’azione scenica: le ex carceri di San Gimignano.

Emanuela Dal Pozzo

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