UN LIBRO CHE NON INVECCHIA: “IL BANCHIERE DEI POVERI” DI MUHAMMAD YUNUS

Non è un testo di narrativa, né un saggio di economia, entrambe i generi si fondono nel volume “Il banchiere dei poveri” (Feltrinelli 1998) che espone in modo minuzioso il percorso intrapreso dall’autore per creare una Banca pronta a far credito ai “miserabili”.

Tutto ha inizio, negli anni ’70, dalla consapevolezza che il bagaglio teorico di cui si avvaleva come professore di economia era lontano e inutile alla povertà che dilagava in quegli anni in Bangladesh, a causa di una grave carestia.

Così, con l’aiuto degli studenti, Yunus inizia il suo lavoro partendo dal villaggio di Jobra, dove gli abitanti compravano le materie prime dai commercianti ai quali dovevano poi rivendere i prodotti finiti, a fronte di un guadagno di pochi centesimi. Peggio ancora, qualcuno si rivolgeva agli usurai: le banche non concedevano prestiti così inconsistenti per i costi elevati delle pratiche e la mancanza di garanzie patrimoniali.

Nel 1977 egli ottiene la gestione di una filiale della Krishi Bank e fonda la Grameen Bank, che presta soldi a tassi bonificati solo ai poverissimi, in particolare alle donne (oltre il 90%). Visto che questo sistema di microcrediti è stato poi diffuso in tutto il mondo, si tratta di una sorta di business sociale il cui scopo è quello di far uscire gli uomini dalla miseria.

Il testo prende in esame, con linearità formale e chiarezza terminologica, la realizzazione di tale progetto in tutti i suoi aspetti: l’origine, la sperimentazione, il consolidamento, l’esportazione e gli ulteriori obiettivi futuri.

Inevitabili le critiche e le accuse rivolte al professore e al suo sistema economico, tanto che nel 2011 è stato richiesto il suo allontanamento dal direttivo per motivi apparentemente futili. Gli sono stati contestati i metodi di nomina al suo ruolo e la tarda età anagrafica raggiunta, 70 anni. In realtà, sottendono a tale scelta i numerosi contrasti, da sempre presenti, tra l’economista e le autorità del Bangladesh, che probabilmente non hanno mai approvato la quasi totale autonomia della Grameen Bank.

Yunus ha ricevuto il Premio Nobel per la pace nel 2006 poiché è riuscito ha seminare la speranza di vivere tra tutti i poveri (e sono davvero tanti) che abitano il nostro pianeta.

La povertà è l’assenza di tutti i diritti umani. Le frustrazioni, l’ostilità e la rabbia che nascono dalla miseria nera non possono offrire un sostegno alla pace in nessuna società. Per costruire una pace stabile dobbiamo trovare il modo di dare opportunità alla gente di vivere vite dignitose” ( parte del discorso tenuto ad Oslo alla consegna del premio).

Pur non essendo un testo di recente pubblicazione, penso possa essere considerato, oggi più che mai, un “vangelo laico” per il messaggio di concreta speranza esistenziale che contiene, e soprattutto per l’attuazione a livello mondiale del progetto elaborato da Yunus, che con tenacia ha dimostrato quanto “Si può fare!”. Questo è anche il titolo dell’ultimo volume (Feltrinelli 2010) in cui l’autore prosegue e sviluppa la sua idea iniziale, analizza gli aspetti positivi e negativi degli esperimenti di business degli ultimi anni, così da migliorare, con continui accorgimenti, procedure e attuazioni e raggiungere profitti e ricchezze sociali. La sfida che l’autore si pone qui è ancora più ambiziosa della precedente: sviluppare una nuova forma di capitalismo, più umano, che non sia fondato sull’idea egoistica di profitto individuale, propria del capitalismo come ci è pervenuto fino ad oggi, ma che persegua fini sociali. Aziende che producono profitto devono viaggiare accanto ad altre no profit; ciò sembra non essere impossibile visto che Yunus, nel testo, si preoccupa di informarci su tali realtà già operanti nel mondo. Un vortice quello avviato dal professore che sembra accelerare i ritmi e modificare le strutture consolidate da secoli che ruotano attorno; grazie a lui, orgoglio, autostima e voglia di vivere sono le caratteristiche che vanno consapevolmente assimilando le donne e gli uomini più “poveri” al mondo.

Daniela Marani

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