UNA GIORNATA AL FESTIVAL D’AUTUNNO DI BAZZANO “A TEATRO NELLE CASE” IN COMPAGNIA DEL TEATRO DELLE ARIETTE

Sabato 4 ottobre 2014 ci siamo lasciati trasportare dagli eventi del giorno in località Bazzano (BO), un accattivante calendario che ha previsto al mattino l’esperienza di Urban Experience di radio walk-show condotta da Carlo Infante” Da vicino nessuno è normale” al mercato settimanale di Bazzano e nel pomeriggio altri tre appuntamenti altrettanto significativi: l’incontro condotto dal critico teatrale Massimo Marino “ Il teatro, i teatranti e gli spettatori”alle ore 15 alla Rocca dei Bentivoglio, l’intervento teatrale “The Walk” della Compagnia Cuocolo Bosetti per le strade del centro storico alle ore 19 e a seguire alle 21 lo spettacolo teatrale “Pinocchio” di Babilonia Teatri e gli amici di Luca presso Le Ariette al Castello di Serravalle.

Gli eventi si collocano all’interno di un programma più articolato sviluppato nell’arco di 10 giornate, dal 1 al 10 ottobre, coinvolgendo i Comuni di Monteveglio, Bazzano e Castello di Serravalle. ( vedi programma e comunicato stampa).

Il lasciarsi trasportare ci è parsa una condizione obbligatoria in questo caso per noi, interessati a registrare nei festival , aldilà dei contenuti e delle recensioni dei singoli eventi,anche gli umori o quelle tensioni ideali trasversali, pianificate o meno, che restituiscono l’unicità nel tratto caratteristico di quel Festival e della sua memoria.

In questo caso siamo stati colti di sorpresa da un filo emozionale, anche riflessivo/intimista, peraltro bene espresso nel titolo del Festival “ Sentire vicino, guardare lontano”,che collegava i diversi momenti e che forse ha permesso a tratti, anche nella tavola rotonda di confronto,( ma ci sarebbe piaciuto ancora di più) un’espressione più libera e meno codificata, agevolata certamente dall’esperienza precedente di walking-show, condotta da Carlo Infante, che aggrega i partecipanti secondo una formula di partecipazione attiva e di stimolazione interiore, su sollecitazione degli stimoli esterni ambientali ( vedi www.urbanexperience.it e intervista a Carlo Infante precedentemente pubblicata): una sorta di percezione condivisa quale gesto di cittadinanza attiva e consapevole.

IL CONVEGNO: “IL TEATRO, I TEATRANTI E GLI SPETTATORI

La discussione si è svolta intorno al tavolo dell’accogliente sala del camino della Rocca dei Bentivoglio. Diversi gli interventi con molteplicità di tagli ed angolazioni, data l’eterogeneità dei partecipanti distribuiti tra attori, organizzatori e spettatori. Il tema principale proposto dal Teatro delle Ariette, residenza ospitante il Festival, il difficile rapporto attori/ spettatori, oggi capace di mettere in crisi il “fare teatro” ha indotto a riflettere sul significato del teatro, da un lato visto come “luogo” chiuso e incapace di trasmettere empatia con richiami a un passato di teatri itineranti di strada e piazza più capaci di immediatezza di linguaggio, dall’altro visto nella sua originaria matrice dall’antica Grecia, luogo al contrario appositamente predisposto e occasione di alfabetizzazione. Dagli spettatori presenti si è contestata la presunta crisi del teatro che almeno localmente sembra godere di buona salute, mentre al contempo non sono mancate critiche all’operato delle amministrazioni politiche (i vari assessori alla cultura incapaci di distinguere tra festival di teatro e festival/sagre di basso profilo dai nomi più pittoreschi) e autocritiche attoriali nel non riuscire a rispondere alle esigenze profonde degli spettatori, concentrati più sul proprio narcisistico operare che sull’effettivo aspetto comunicativo. La discussione si è quindi spostata sul format festival, un tempo termine di richiamo teatrale, oggi invece calderone di eventi diversi e non sempre teatrali di scarsa qualità, un format da abbandonare in favore di soluzioni più efficaci.

Si è quindi parlato di “cittadinanza”, sull’onda delle esperienze di “urban experience” condotte da Carlo Infante e si è affrontato il gravoso problema dei fondi pubblici dedicati al teatro, sulla loro distribuzione e sulle prospettive future. La discussione si è chiusa sull’esigenza di contrastare una complessiva politica culturale insoddisfacente e proponendo una visione di teatro oggi quale prevenzione di malattia sociale, più associabile a problematiche della “sanità” nella propria capacità di migliorare la complessiva qualità della vita.

Nella sintesi di chiusura di Massimo Marino sono stati ripresi i termini “controcultura” e “cultura critica”, visti tra loro in contrapposizione e ci rammarichiamo che proprio su queste due definizioni non esplicitate e ricche di rimandi ( la prima, a differenza della seconda, secondo noi presuppone modelli di contrapposizione alla cultura dominante con le relative conseguenze) si sia chiuso il convegno, proprio in un momento in cui si sarebbe potuto entrare nel vivo delle problematiche qui ,per questioni di tempo, solo accennate o rilanciate, come una possibile stesura di “carta dei diritti dello spettatore” o l’esigenza di ripensare al teatro come forza di cambiamento sociale.

THE WALK.

Interessante e capace di “penetrare” nell’intimo la performance a seguire “The Walk”, proposta dalla Compagnia Cuocolo Bosetti: una voce itinerante a raccogliere attorno a sé gli spettatori muniti di cuffia e radiomicrofono, chiamati alla condivisione di una passeggiata per le vie del centro storico di Bazzano.

La voce narrante di Roberta Bosetti, interrogandosi prima sul significato di verità e di esperienza artistica, si racconta in una tragica esperienza esistenziale e chiama a raccolta ogni singolo spettatore chiedendone di condividere emozioni, pensieri, sentimenti, ricordi e immagini: una full immersion in un testo, firmato da Renato Cuocolo, profondo e credibile, intimista e fortemente empatico, in cui le sensibilità dell’attrice si fondono con quelle dei presenti, tessendo un luogo condiviso di senso. Una bella esperienza che ha trovato il suo significato pregnante nel camminare comune, un mettersi in moto che sollecita corpo e mente inducendo un atteggiamento di partecipazione attiva, che, aldilà di alcune significative tappe predisposte, ricche di fascino estetico ed emotivo, ha condensato il senso della comunicazione di un sentimento, un “andare verso”, un “motus” dell’animo.

The walk ci è parso quindi, aldilà della significatività del testo e dell’avvincente voce narrante, un modo originale ed intelligente per rivolgersi agli spettatori coinvolgendoli in modo non banale né strumentale, tentativo riuscito di risposta al faticoso rapporto attore/spettatore emerso anche nel Convegno.

Anche se la Compagnia rivendica nelle proprie produzioni come questa una sovrapposizione tra realtà e finzione, mettendo in crisi il rapporto tra il personaggio e la persona, cioè l’attore e la sua individualità storica, dal nostro punto di vista la loro forza sta proprio nella rielaborazione di una realtà interpretata da un punto di vista personale e proposta in chiave dialettica agli spettatori, salvaguardando quella distanza opportuna che permette uno spazio di riflessione e un confronto.

Diverso è infatti “interpretare” la realtà in chiave personale a teatro, operazione che giustifica il processo creativo e che implica un apporto ideativo, altro è la mera messa in scena del reale ( come nei reality) che nulla aggiunge oltre una documentaristica realtà di fatto.

PINOCCHIO

“ Pinocchio”di Babilonia Teatri , in collaborazione con “Gli amici di Luca”, è andato in scena alle ore 21 al Teatro delle Ariette. Coinvolte in scena tre persone con parziali disabilità, accomunate dalla comune esperienza del coma e dal suo faticoso recupero.

Il significato del titolo si comprende in itinere,quando una voce fuori campo dalla sala regia interroga i tre protagonisti sull’intimo significato della loro esperienza, le difficoltà della ripresa post coma ,anche ripercorrendo in parallelo le esperienze del burattino Pinocchio che a fatica riconquista la propria umanità, abbandonando le precedenti spoglie di burattino.

A questo proposito, nonostante la piacevolezza comunicativa di alcune scene drammaturgiche agite dai tre protagonisti e la credibile e sicuramente intelligente associazione tra il personaggio di Pinocchio e le esperienze esistenziali raccontate, il dubbio è che la condizione di “burattino” sia realmente vissuta in scena dai tre protagonisti, abilmente “manipolati” dalla voce registica fuoricampo che dà loro istruzioni e guida le loro risposte.

Certamente l’assoluta verità dei protagonisti ( più esistenziale che scenica) induce un sentimento di immediata empatia con gli spettatori, tale da toccare le corde intime ed emozionali, secondo il filo conduttore che ci è parso percorrere questo Festival, né mancano momenti di divertimento nella spontaneità di risposte imprevedibili da parte degli interrogati che sembrano divertirsi molto nella centralità del palcoscenico, ma questa scelta di “uso” di non attori in evidente difficoltà di controllo emotivo nella interpretazione di se stessi non ci è piaciuta, né ci ha convinto la motivazione, a giustificazione, che il teatro terapia sia comunque utile e salvifico per chi lo pratica. Non ci è chiaro cioè il “contenitore” di questa messa in scena ( basta la presenza del pubblico per creare teatro?) e l’obiettivo ( dimostrazione di una terapia possibile? Sensibilizzazione al problema? Provocazione?) , nella consapevolezza che la tendenza oggi di parte del teatro sia quella di far coincidere verità scenica e verità reale , due cose che dal nostro punto di vista devono necessariamente rimanere distinte, poiché proprio in virtù della loro distinzione sono capaci di creare dialettica e reale confronto.

Nonostante il riconoscimento di un approccio delicato e non forzato all’interno della messa in scena nei confronti delle tre persone tuttora in terapia – perchè, oltre le disabilità fisiche, i traumi post coma presuppongono alterazioni di carattere ed estremizzazioni di tratti individuali ci spiega lo psicologo- questa scelta apre interrogativi e perplessità su molteplici piani, sia circa la liceità di “utilizzo” di persone non completamente autonome, in questo caso seguite durante gli spostamenti e prima e dopo gli spettacoli da un apposito psicologo, sia in relazione ad un utilizzo strumentale di persone con evidenti handicap in teatro, costume dal nostro punto di vista decisamente poco etico e perseguito da diverse Compagnie teatrali e di non sempre trasparenti intenzioni.

Detto questo su un piano etico, di un piano teatrale per questo spettacolo non possiamo parlare: per noi la verità scenica ha senso solo all’interno di una finzione teatrale,( una qualsiasi interpretazione del reale diventa “finzione” nell’assunzione di un ruolo) intesa come patto condiviso tra attori e spettatori e in cui gli attori abbiano piena consapevolezza, padronanza e lucidità emotiva nel ruolo prescelto. La differenza che passa tra la vita e il teatro, dal nostro punto di vista, si gioca su quella riflessione ( che alcuni chiamano “sguardo”) che si interpone tra la realtà e la sua interpretazione.

Emanuela Dal Pozzo

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