Jasmina Kadra racconta ricorrendo ad uno stile poetico anche le situazioni più drammatiche, quelle che affondano chi le vive nel buco nero e buio dell’esistenza.
E’ questo ciò a cui va incontro il dott. Amin Jaafari, giovane chirurgo israeliano di origine araba, quel maledetto giorno in cui la moglie, la dolcissima e amata Sihem, si fa esplodere in un affollato ristorante di Tel-Aviv, distruggendo il suo bellissimo corpo assieme alla bomba che nascondeva sotto la veste, a simulare una gravidanza mai vissuta.
Amin opera e soccorre per tutto il giorno le vittime dell’attentato, ignaro di esserne coinvolto fino alla nausea. Ed è proprio un senso di vomito e di smarrimento a coglierlo quando, durante la notte, un amico poliziotto è costretto a rivelargli l’identità kamikaze della moglie.
Completamente svuotato di ogni senso della realtà, incredulo e disorientato, inizia un percorso piuttosto pericoloso e ostico per giungere a capire il gesto di Sihem. Si scontra così con un mondo duro e impenetrabile come il muro del fanatismo, un muro che divide ed emargina, delimita ma anche annulla individui ed esistenze. Esplora luoghi infernali come la città di Jenin, alla ricerca di un perché che dia pace al suo cuore disperato.
Il tema del doppio, sicuramente non nuovo nella narrativa, affiora in questo volume “L’attentatrice”, edizione Mondadori 2007, in veste piuttosto originale, portando a galla la consapevolezza di come sia difficile conoscere quanti camminano al nostro fianco ogni giorno. La scoperta che Sihem portasse dentro un universo diverso dal suo, che avesse finalità esistenziali così grandi da superare il loro amore e i loro sogni, getta Amin nello sgomento: la donna dolce e tenera che conosceva ne nascondeva un’altra, feroce e violenta, a lui totalmente sconosciuta.
Ciò che tormenta la sua coscienza è non aver colto nessun segnale di avvertimento, né aver letto nei gesti, nelle parole o anche solo negli sguardi della giovane una richiesta di aiuto. Difficile sopravvivere a questi pensieri che, come il dramma che li ha generati, si annidano alla radice del suo cervello fino ad accostarlo ad una sorta di follia.
Tanti i quesiti che ancora una volta Kadra ci offre sul “piatto d’argento”, l’argento luccicante delle numerosissime metafore senza le quali non riuscirebbe a fornirci quadri così drasticamente umani, profondamente psicologici e coinvolgenti. La consueta raffinatezza lessicale concorre a strutturare una forma scorrevole, quasi scivolosa nonostante le ruvide pieghe degli eventi. Un intreccio di sentimenti trafitti, di progetti distrutti sotto il rombo di una bomba, la stessa che Sihem portava, fieramente convinta, sotto il vestito, dopo aver abbracciato, la notte prima, il suo compagno Amin per lasciargli l’ultima traccia del suo sincero, ma incomprensibile amore.
Approcciarsi a J. Kadra è un immenso piacere, un’esperienza letteraria a cui un buon lettore non può sottrarsi, è un appagamento culturale per la qualità e l’attualità dei temi trattati. Il suo stile è lirica narrativa; lui stesso in più occasioni ha ammesso di avere origine da una tribu africana di poeti: imprinting ottimamente riuscito.
Daniela Marani