Ciò che mi ha sempre affascinata della letteratura russa ottocentesca, da Dostojewskij a Cechov, è quella particolare capacità di far trasparire da dettagli apparentemente casuali la cultura di un intero popolo. Nei romanzi di Dostojewski, bastano la descrizione del sibilo del vento o quella di un soprammobile casualmente poggiato su un tavolo a materializzare una Mosca in piena attività, con folle, crocicchi e passanti distratti, o pensierosamente immersi in un tempo che scivola come fiume in piena a travolgere una Mosca traboccante di vita, in cui tutto appare in primo piano.
Questa dimensione sociale del popolo russo, visto in tutte le sue più diverse sfaccettature di differenze di ceto e in tutte le proprie angosce esistenziali, vivo e presente in ogni momento in Dostojewskij, in Cechov si rarefa , si sublima in immagini simboliche, si traduce in atmosfere seducenti, a tratti quasi decadenti, sintomo di epoca in trasformazione e in cui il dettaglio diventa rivelatore della contraddizione: l’affacciarsi del nuovo a contrasto con il lamento morente del vecchio.
“ Svenimenti”, fantasia di pezzi tratta da alcuni Atti Unici di Anton Cechov, in scena al Teatro Sociale di Brescia dal 18 novembre al 14 dicembre 2014 ad opera della Compagnia Le Belle Bandiere e coprodotto dal Teatro Stabile di Brescia, in collaborazione con Regione Emilia-Romagna, Provincia di Ravenna e con il sostegno del Comune di Russi, ripercorre la scrittura Cecoviana ritagliando i personaggi dallo sfondo, stigmatizzandone caratteri e comportamenti. Vengono messe a nudo le palesi contraddizioni che abitano l’animo umano. Il gioco teatrale deborda dalla scena. La sua verità diventa esilarante specchio dei difetti in cui ciascuno si può riconoscere. La comicità che ne scaturisce è autentica.
A tratti perdiamo la cognizione del luogo in cui la piece si svolge, non fosse per i nomi e l’abbigliamento dei personaggi, tanto il messaggio appare trasversale e attuale oltre ogni frontiera: scelta di regia che privilegia l’autenticità dei personaggi, ridicoli e al contempo tragici, sacrificando forse la pregnanza evocativa dell’ambientazione.
Bene caratterizzati i personaggi e ottimamente interpretati da Elena Bucci, Gaetano Colella e Marco Sgrosso, la cui particolare scuola attoriale si coglie nell’impostazione del corpo, nella vivezza della presenza scenica, nella costante energia che passa in corpi perennemente in movimento, anche se fermi in apparenza: ciò che rende la differenza in teatro tra il descritto e l’agito, anche se siamo ancora all’interno della rappresentazione….. suggerisce l’ultimo anello della catena.
Nell’ultima parte dello spettacolo irrompono mirabilmente le tipiche atmosfere Cecoviane a chiudere il cerchio, le più seducenti, le più evocative, le più teatralmente “piene”, a dilatare lo spazio e il tempo e a restituirci la tipica sensibilità poetica di questo meraviglioso drammaturgo russo ed il numeroso pubblico premia con lungo applauso.
Emanuela Dal Pozzo