Un Romanticismo polveroso e greve in cui i personaggi restano metaforicamente immobili ed incollati ad uno sfondo semplicemente evocativo di un’epoca imprecisata è quello che impostava Guglielmo Ferro per la” Lucia di Lammermoor”, spettacolo inaugurale della Stagione 2014/2015 del Teatro Filamonico di Verona, un allestimento proveniente dal Teatro Massimo Bellini di Catania concentrato non tanto sull’interpretazione di una tradizione quanto su di una sua vaga descrizione.
Lo spazio viveva dunque di semplici fondali evocanti questo o quel quadro librettisitico e lo studio dei personaggi risultava approssimativo e monocorde. Certo i caratteri in Lucia rappresentano appieno gli stereotipi drammatici del primo Romanticismo, ma proprio per questo possono essere universale materiale drammatico per una più viva, contemporanea e drammatica lettura e limitarsi ad impostare una struttura scenica su di uno sfondo evocativo di un ambiente o un ‘epoca può essere ancora oggi accettato solo in piccole realtà che vivano soprattutto grazie al lavoro ed alla buona volontà di Associazioni culturali o musicali ( che spesso anzi non si accontentano di ciò ma vanno avanti cercando di proporre letture semplici nella realizzazione ma di interessante contenuto concettuale), ma non può bastare per un teatro di grande tradizione quale è il Teatro Filarmonico .
Detto questo veniamo al profilo prettamente vocale dello spettacolo che è stato davvero rilevante .
Irina Lungu, nel ruolo del titolo, dimostrava con i fatti come si possa (anche oggi !) crescere e maturare artisticamente impegnandosi con intelligenza e non trascurando la cura per lo studio.
La brava artista risultava infatti molto cresciuta vocalmente e pienamente capace nel dominare la sua vocalità con sicurezza riuscendo ad ottenere tutte le sfumature che il ruolo, complesso e temibile sotto molti profili, richiede.
La “sua” Lucia precisa e misurata tecnicamente, sensibile nel fraseggio, mai convenzionale e scenicamente convincente si presentava dunque come un interessante crogiuolo di determinazione e sensibilità, così il suo rapporto col fratello Enrico risultava diretto , fiero e coraggioso e la sua pazzia (peraltro assai ben dominata tecnicamente e ricca di quei chiaroscuri che , ben sottolineati in partitura, le donano contemporanea drammaticità) diveniva naturale cedimento ad una tensione fisica ed emotiva troppo a lungo repressa.
Piero Pretti nel ruolo di Edgardo ben impressionava per l’interessante vocalità. Contraddistinto da un timbro omogeneo , ricco di armonici , solare e sicuro in tutta la tessitura il giovane artista evidenziava una buona tecnica che sosteneva correttamente il suono e che gli permetterebbe facilmente anche maggiore espressività nel fraseggio . Se non scorderà mai di dare sempre il giusto rilievo alla parola ed all’interpretazione sia vocale che scenica ed a rimanere nel repertorio ‘lirico’ a lui più consono, la vocalità dell’artista potrebbe ancora crescere in modo esponenziale portandolo ad imporsi, ancor meglio, sui palcoscenici internazionali e noi glielo auguriamo.
Dal timbro pieno e molto interessante l’Enrico tratteggiato da Marco Di Felice che appariva però, per certi aspetti, ingabbiato in un’impostazione un po’ troppo spinta per questo ruolo , se si può ancora dir ciò.
Completavano il cast Seung Pil Choi (Raimondo) , Alessandro Scotto Di Luzio (Arturo), Elisa Balbo (Alisa) e Francesco Pittari (Normanno).
Il M° Fabrizio Maria Carminati dirigeva con compostezza l’Orchestra dell’Arena di Verona e, pur non ottenendo sempre la giusta compattezza tra palco e buca, fraseggiava , nel complesso con cura . Professionale il Coro della Fondazione diretto dal M° Salvo Sgrò.
Una sala pienissima ed entusiasta (nonostante la recita serale infrasettimanale) faceva ben sperare per la ripresa di questo Teatro che sembra aver finalmente imboccato la strada giusta per avvicinare e dialogare nuovamente con il suo pubblico .
Verona.18/12/2014
SILVIA CAMPANA