Il 20 gennaio ore 20.45 al Teatro di Pergine primo appuntamento della rassegna Mondovisioni – I documentari di Internazionale, con Concerning Violence, il documentario sul colonialismo di Göran Olsson, che interverrà in videoconferenza.
Concerning Violence è un documentario del 2014 scritto e diretto da Göran Olsson. Basato sull’omonimo articolo di Frantz Fanon (pubblicato nel suo volume I dannati della terra) e narrato dall’attrice e cantante americana Lauryn Hill (già leader dei Fugees). Coproduzione di Svezia, Finlandia, Danimarca e Stati Uniti, il film racconta le rivolte e i processi di decolonizzazione africana negli anni ’60 e ’70, gettando luce sulle attuali forme di neocolonialismo. Presentato in anteprima al Sundance Film Festival esattamente un anno fa, il film ha poi partecipato ai maggiori festival internazionali, tra cui Berlino e Göteborg, ed è poi stato distribuito nei cinema svedesi e statunitensi. È arrivato in Italia grazie al Festival di Ferrara della rivista Internazionale e ora a Pergine con la rassegna Mondovisioni – I documentari di Internazionale, grazie alla collaborazione tra il Circolo del cinema Effetto notte e CineAgenzia e al contributo della Fondazione Caritro. Al termine del film il regista Göran Olsson si intratterrà col pubblico in videoconferenza.
Concerning Violence trae il suo primo capitolo dalla Bibbia dell’anti-colonialismo: I dannati della terra, scritto da Frantz Fanon, lo psichiatra e rivoluzionario nato in Martinica, che morì pochi mesi dopo aver terminato il suo libro a soli 36 anni e senza avere la possibilità di vedere la fine della rivoluzione algerina, che aveva sostenuto con tanta passione. Nel suo film Olsson ha tentato di scrivere un “Fanon per principianti”, un lavoro che attiri l’attenzione del pubblico sui paralleli tra la situazione del continente africano nel 1960 e oggi.
Il risultato è impressionante e sorprendentemente accessibile, suddiviso in nove capitoli che tracciano l’evoluzione del colonialismo, dal suo primo tentativo di semplice annientamento di menti, corpi e comunità dei territori colonizzati, fino agli inevitabili sollevamenti e al desiderio di ricostruzione.
«Dopo il mio ultimo film The Black Power Mixtape, non volevo assolutamente fare un altro film con materiale d’archivio. Ma poi lessi il libro di Fanon e ne fui completamente sconvolto. Non era scontato che avremmo usato materiale d’archivio, ma paradossalmente usando materiale girato oggi il film sarebbe invecchiato molto più velocemente, e allo stesso tempo gli stimoli del film sarebbero stati molti differenti, più focalizzati sul fatto se la situazione era stata rappresentata più o meno accurata. Con il materiale d’archivio, il film diventa quasi come un cartone animato, un dipinto, e l’attenzione dello spettatore va più direttamente all’essenza dei problemi, piuttosto che fermarsi sulla loro superficie.
È molto facile trasporre gli argomenti di Fanon ad altre situazioni di violenza, da quella di genere a quella razziale, fino a quella di classe, non solo al colonialismo. Ma allo stesso tempo è un testo scritto in un contesto molto specifico e terrificante. Forse per questo la risposta del pubblico è stata così positiva, perché il film non è solo politicamente ed emotivamente sconvolgente, è anche rivelatorio di una profonda verità, trasversale a tutte le nostre esperienze di violenza e liberazione.
Forse il film risulta così avvincente anche perché noi che l’abbiamo fatto siamo filmmaker, non artisti. Un filmmaker ha sempre il suo pubblico in testa, si domanda in continuazione: “è noiosa questa roba?”. Agli artisti non interessa. Ciò che interessava a noi era comunicare quella che riteniamo una verità. Se vivi da questa parte del mondo il meno che puoi fare è cercare di capire cosa significhi la sofferenza che si vive dall’altra parte e quali siano le conseguenze dell’attuale ordine mondiale. Questo è lo scopo del nostro film. Non l’abbiamo fatto per chi vive oppresso, perché loro sanno già di che si tratta. L’abbiamo fatto per gente come noi». Göran Olsson
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