Inizia con “Eroi” la stagione al Teatro Kitchen che il direttore artistico Gianni Gastaldon mi confida quest’anno suddivisa in segmenti indipendenti.
Diverse le ragioni di questa scelta ma la più importante è di natura organizzativo artistica: “Vengo spesso a conoscenza di nuove produzioni interessanti in itinere, spettacoli che non posso inserire perchè la programmazione è gia stata chiusa. Così quest’anno ho deciso di muovermi diversamente e di programmare periodo per periodo” afferma Gastaldon.
“Eroi”, spettacolo finalista al Premio Off 2011– Teatro Stabile del Veneto, monologo di e con Andrea Pennacchi con lo stimolante accompagnamento musicale dal vivo di Sergio Marchesini e Giorgio Gobbo e la regia di Mirko Artuso è andato in scena il 17 gennaio 2015 al Teatro Kitchen con una sala piacevolmente gremita.
Rivisitazione dell’ Iliade nella quale dei ed eroi giocano la propria partita dimostrando le proprie ferite e le proprie debolezze, Andrea Pennacchi offre una rilettura in chiave veneta e semiseria, a tratti spinta nella nostra quotidianità a pescare ricordi di situazioni scolastiche e di vita da lui vissuti ma facilmente rintracciabili nella memoria di ciascuno e tali da creare un tessuto empatico con gli spettatori nelle maglie del racconto, a tratti ironico e certamente smaliziato nel ridipingere eroi molto più “umani”, capaci di slanci e di ideali ma anche di errori di valutazione e vittime di sconfitte, in un percorso narrativo che comincia e finisce in chiave filosofica: “…. Siamo come le foglie, le lacrime umide non hanno senso, ci staccheremo con il vento e moriremo per far nascere le nuove foglie….”
Ad un’analisi più attenta però, a parte l’intensità di certe immagini e di alcune efficaci sottolineature sull’amore ( un sottotitolo potrebbe essere stato “ per guerra e per amore”) il racconto pur ben condotto non riesce per buoni tratti a superare la soglia del “sensibile”, non lascia cioè nello spettatore un’impronta sufficientemente forte da sopravvivere alla conclusione dello spettacolo.
Se nella prima parte la ricchezza di dettagli e di interrelazioni tra i protagonisti degli eventi giocata senza pause di respiro di senso e sottolineata da intercalari attuali con richiami espliciti ad immagini “da stadio”, rischiano di frantumare il tutto senza una chiave di lettura forte , è nella seconda parte che Andrea Pennacchi dà il meglio di sé, toccando le corde interiori tanto nel dipingere il lutto d’amore di Achille, quanto nella poetica riappacificazione conclusiva tra Achille e Priamo.
Il rischio cioè di banalizzare un testo di grande spessore letterario e ricco di citazioni mitologiche per renderlo immediatamente compresibile è dietro l’angolo e segna in negativo alcuni momenti del monologo, che fortunatamente riprende slancio quando invece è lo scavo all’interno del testo omerico che rintraccia aspetti e caratteri utili alle due motivazioni fondamentali che sembrano animare il significato di questa messa in scena: la divulgazione di un testo poco conosciuto se non per vaghe reminescenze scolastiche e l’avvicinamento ai suoi eroi spogliati di quell’aurea che li rende irraggiungibili.
Aldilà della critica allo spettacolo che speriamo costruttiva, si ripropone un’altra volta il tema sempre attuale del rapporto tra attore e spettatore e di quanto certa “ facile”comicità venga spesso furbescamente utilizzata perchè di sicuro effetto, a scapito di percorsi più difficili ma certamente più teatralmente interessanti perchè più sfaccettati e capaci di aprire “porte” interiori ricche di rimandi e vene inesauribili di possibilità, tema di confronto tra quanti operano nel mondo del teatro e della comunicazione.
In conclusione un Andrea Pennacchi intimista è parso più convincente e più empaticamente efficace di un Pennacchi ammiccante e l’approfondimento registico in questa chiave avrebbe probabilmente anche valorizzato maggiormente quella complicità tra musicisti e attore che in scena ci è parsa debole.
Applausi ed apprezzamenti da parte del pubblico.
Emanuela Dal Pozzo