BREVITA’ E COMUNICAZIONE NEI SOCIAL NETWORK. ANCHE IL TEATRO NE E’ INFLUENZATO? REDAZIONALE

“La brevità è davvero un valore?” E’ un concetto emerso all’interno di un workshop dedicato alle nuove tecnologie,(@ Comunicarte, Trento, Teatro Portland febbraio 2015) ormai non più tanto nuove visto che chi si colloca fuori dai linguaggi computerizzati e dai diversi smartphone, tablet, apple e non usa sistematicamente i social network viene considerato un troglodita o comunque un soggetto “diverso”.

Sembra ci sia una certa letteratura sull’argomento “ brevità” e non ci si dovrebbe stupire visto che un twit di twitter non deve superare i 140 caratteri e sempre più la scrittura tradizionale viene sostituita dai più comodi e veloci sms, mentre la stampa on line o cartacea viene liquidata in favore di blog di più facile ed immediato impatto soprattutto perchè brevi, a prescindere dal valore delle comunicazioni veicolate.

Fin qua nulla di nuovo. Sono gli inevitabili frutti della rivoluzione tecnologica ormai dilagante che ha cambiato gli strumenti e le abitudini sociali, ma che ha anche modificato l’abito mentale nell’approccio alla realtà, sacrificando alcune abilità a vantaggio di altre, perchè quando sistematicamente si chiede la soppressione di certe prassi queste vengono dimenticate.

Così in un tutto che diventa mappa concettuale, realtà interpretata nella sua complessità, non c’è più tempo per le descrizioni che diventano fuorvianti e rischiano di perdere di vista i nodi cruciali in cui le diverse traiettorie si incontrano, né c’è più tempo per i percorsi mentali o strumentali che hanno portato agli obiettivi come la conta degli errori, le impennate, i cambi di rotta e quanto necessario a illuminare la strada per arrivare al traguardo.

Mentre a livello comunicativo la comunicazione “ breve” dovrebbe essere compensata dalla pregnanza delle parole utilizzate, spesso metafore o chiavi di lettura capaci di aprire i mondi evocati, suscettibili di approfondimenti mirati,per essere realmente efficace, difficoltà cui si sottraggono pochi, sul piano più propriamente teatrale la maggiore difficoltà sembra essere l’incapacità di tradurre i concetti in immagini o azioni sceniche. Per esemplificare sembra che per veicolare ad esempio il concetto di ”bello” in uno spettacolo, venga più immediato dirlo semplicemente ( è più breve) che ripensare ad una drammaturgia fatta di azioni, eventi, immagini e media capaci di restituire lo stesso concetto. E’ una qualità questa che noto trasversale in diversi spettacoli, soprattutto di nuova generazione, cioè orfani di quel meraviglioso bagaglio esperenziale legato alla ricerca linguistico espressiva di qualche decennio fa il cui iter si comprendeva nell’esito finale dello spettacolo. E mi viene da pensare che non sia saltato solo il passaggio di informazioni da una generazione ad un’altra ( annoso e sentito problema del mondo del teatro), che si potrebbe tradurre in povertà di codici linguistici teatrali, quanto piuttosto quell’abitudine all’analisi di un concetto e alla sua deframmentazione e quell’attenzione al percorso prima che al risultato, propri di una società che ha cambiato profondamente la qualità della comunicazione.

Emanuela Dal Pozzo

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