“Torno indietro e uccido il Nonno”, ultimo lavoro della Compagnia Arditodesìo, succede e non solo in senso cronologico a “Il principio dell’incertezza” , spettacolo giustamente pluripremiato non solo per questo originale percorso intrapreso da Andrea Brunello di intreccio tra teatro e scienza, più unico che raro nel genere, ma anche per quell’equilibrio raggiunto nella compenetrazione tra i diversi linguaggi. I linguaggi scenici raggiungono l’apice nella lettura in chiave esistenziale dei risultati degli esperimenti di meccanica quantistica.
Il viaggio nel mondo della scienza cioè in “Il principio dell’incertezza” attrae, affascina e motiva perchè indagando “con amore” la frattura tra la vita e la morte cattura immediatamente il cuore di chi ascolta: avvicina empaticamente, dilata il personale immaginario, proietta verso nuovi orizzonti, amplifica le visioni, moltiplica le congetture, riscalda e illumina la mente di intelligenza partecipata, in una parola conquista. E’ lì che si compie la magia, nel momento in cui attore e spettatore si incontrano su un piano, questo esistenziale, che li accomuna e li unisce in nodo indissolubile: non facile parlando di fisica e di formule. Ma chi, se non Andrea Brunello, con una laurea in fisica precedente a quella attoriale, avrebbe potuto avventurarsi in una strada tanto impervia, così difficile da percorrere da sembrare più una scommessa o una sfida che una scelta? Sfida ampiamente vinta.
Questa introduzione è d’obbligo perchè “ Torno indietro e uccido il Nonno”, in scena al Teatro Portland di Trento il 14 e il 15 febbraio 2015, non ha avuto per me lo stesso splendido impatto dello spettacolo precedente, dividendo però i pareri degli spettatori.
Il testo, a firma dei due attori in scena Andrea Brunello e Roberto Abbiati e del regista dello spettacolo Leonardo Capuano, sempre di scienza si interroga. Questa volta è sotto accusa il tempo. La domanda “ Dove va il tempo che passa?” è un tarlo insistente nello spettacolo, “perchè i fisici proprio non sanno dove vada il tempo, da dove viene, di cosa è fatto, se finirà, e se è una dimensione nella quale si può viaggiare come lo spazio” cita la locandina. L’ interrogativo, dal “big bang” alla “freccia del tempo”, accomuna il destino di due uomini: nonno e nipote, entrambi sospesi in scena in una dimensione spazio/tempo indefinita, intelligentemente resa da un dialogo più mimico gestuale che verbale tra i protagonisti nelle vesti di due clown: un’idea felliniana suggestiva capace idealmente di trasporre il tutto in un piano surreale. Peccato però che questa feconda interazione sia più descritta che agita e che la caratterizzazione del nipote (clown augusto), che spesso cade in citazioni da clichè, abbia più la funzione di alleggerire quella severa e dotta del nonno ( clown bianco) ,spesso impegnato in lunghi e difficili monologhi, con il rischio di dirottare l’attenzione altrove, verso la battuta facile o la gag immediatamente riconoscibile: un vero peccato che la complicità con gli spettatori, per uno spettacolo così ambizioso, si risolva così.
La generazione del profondo “desiderio di capire”, che supera la mera lezione didattica rivolta a chi già per studio deve affrontare queste tematiche e che è la motivazione prima della nascita dello spettacolo, brillantemente risolta in “Il principio dell’incertezza”, qui rimane legata più ad una sfera verbale/cerebrale, rischiando di perdere quell’empatia tra attore e spettatore, molla indispensabile per far scattare la motivazione all’approfondimento del tema.
Le evocazioni pur profonde ed interessanti che contaminano lo spettacolo rimangono su un piano emotivo intuitivo, idee parzialmente espresse che avrebbero bisogno di sostegno ed approfondimento.
L’idea dei clown e del contrasto tra nonno e nipote, intuizioni feconde, ( ci sta lo “stordimento” del clown augusto spiazzato perchè alla fine dei suoi giorni) andrebbero a mio avviso maggiormente sottolineate da azioni sceniche capaci di tradurre l’eccessiva verbosità del clown bianco da un lato e certe scontatezze del clown augusto dall’altro, azioni sceniche ora solo in parte trovate, per non rischiare che la messa in scena perda di pregnanza e diventi una lezione alternativa in un corso di fisica.
Lunghi applausi per una presenza attoriale ben condotta e un allestimento comunque apprezzabile e apprezzato da buona parte degli spettatori presenti.
Paradossalmente questo spettacolo, ancora agli albori perchè alle prime repliche, promette più del precedente, per la ricchezza di un percorso articolato e zigzagante che lascia aperte molte direzioni e promette nuove soluzioni ed evoluzioni.
“Torno indietro e uccido il Nonno” nasce all’interno del progetto Jet Proipulsion Theatre (JPT)- Laboratorio Permanente della formazione e della divulgazione scientifica in coordinamento con il Laboratorio di Comunicazione delle Scienze Fisiche dell’Università degli Studi di Trento -www.jetpropulsiontheatre.com
Lo spettacolo, parte del progetto Cordata, è stato sostenuto dal Dipartimento di Fisica dell’Università di Trento.
Emanuela Dal Pozzo