Difficile definire con un tratto la personalità di Alberto Valese in quanto basterebbe digitare il suo nome in un qualsiasi motore di ricerca per capire quanto su di lui e sulla sua personale interpretazione della carta marmorizzata, animata da fiori ed animali provenienti dal suo fantastico ed onirico universo creativo, sia stato scritto, ma noi ci proveremo ugualmente, non tanto per sottolineare ancora una volta la sua personalità quanto per affrontare insieme un discorso che ci sta a cuore e cioè cosa dovrebbe connotare il lavoro di un artigiano oggi e cosa invece non dovrebbe appartenere alla sua sfera emotiva ed alle sue dinamiche.
Curioso viaggiatore, indomabile sognatore ed ardito sperimentatore con sempre nuovi sogni nel cassetto da realizzare, Valese è ‘persona’ da conoscere in quanto tratteggia proprio quella figura di artista-artigiano ( i due vocaboli sono difficilmente scindibili a questi livelli) nel senso più ampio del termine che cercheremo di definire.
Casuale il mio incontro con lui, causato dalla ‘Sindrome di Stendhal’ che mi colse inaspettata di fronte alla vetrina della sua bottega veneziana in una fredda mattinata di novembre, così come altrettanto spontanea la nostra vivace chiacchierata che mi svelava repentinamente quanto in lui s’incarnasse uno dei pochi veri artigiani veneziani ancora presenti in città che, sommersi da un’ingorda e soffocante orda di botteghe produttrici di maschere , carta, vetro e quant’altro, offerte a prezzi da catena di montaggio, combattono titanicamente contro la corrente per tenere la testa fuori dalla melma e comunicare, raccontare e trasmettere la loro arte, acquisita e maturata attraverso anni di esperienza . In una Venezia risucchiata ed insterilita dalla stretta di motoscafisti, gondolieri , albergatori e commercianti é stata una vera gioia per me scoprire che la città, attraverso questi curiosi e contemporanei aedi , noncuranti delle minacce esterne e continuamente narranti la loro favola, possa ancora conversare con chi la interroga con curiosità , stupore ed emozione . Pochi, anzi, pochissimi ormai quelli che potrebbero portare avanti la tradizione artigiana veneziana ( che si pregia, oltre che di maestri cartai. di doratori , intagliatori ecc.) ed insegnarla anche all’estero per testimoniare e tramandare un mestiere destinato altrimenti a scomparire ma alla repentinità della domanda curiosa si preferisce oggi la freddezza del silenzio e l’immobilità di una laguna soffocata e inaridita dall’opulenza dell’ ignoranza, di cui le grandi navi sono evidente testimonianza.
Dalle parole di Valese e grazie all’intervista che, con molta cortesia, ha voluto concedermi in seguito, risultava dunque chiarissimo che ciò che contraddistingue l’attività di un artigiano è. sempre e comunque, la peculiarità ed originalità dei soggetti (suoi ad esempio gli onirico “sassi infossibili” così come le pietre leggere realizzate in carta riciclata e coperte di foglia d’oro con meraviglioso ed artistico contrasto) nonchè la stessa volontà di voler portare avanti una filosofia , un’ estetica ed un concetto di lavoro che deve, anzi, dovrebbe essere unico ed originalissimo; tra una parola e l’altra scopro così che, dietro la ‘ruvida’ scorza manifatturiera, si nasconde altresì un raffinato artista singolarissimo ed acuto, creatore di mondi in miniatura che definiscono ed isolano un pensiero, un mondo, un’identità felicemente così inquadrato da Cecilia Gualazzini nell’ introduzione alla mostra “Oscillanti luoghi della mente ” tenutasi a Venezia nel 2008 :”È un dono molto intimo, questo di Alberto Valese: le sue isole (…) sono un piccolo sillabario mentale a cui avvicinarsi in silenzio, con precauzione. Respirando quel che basta a creare un moto di vento e stupirsi della breve onda che si trasmette. Non c’è nulla di più oscillante dei pensieri, nulla di più privato. Alberto mette in scena un suo planetario molecolare della mente ” .
Sempre alla ricerca di nuovi spunti creativi da sperimentare al ritorno da ogni viaggio, Valese è artista totale e lo dimostra con la sua vita, da sempre spesa alla ricerca di emozioni ( la sua indomita passione per il rock, per esempio, è testimoniata da due gloriose chitarre elettriche che troneggiano, quali indiscusse regine, nella sua affascinante casa-laboratorio, quasi un regno sospeso sull’acqua come i colori che definiscono le sue creazioni ) nuove e diverse. Animato da quella curiosità che, da sempre, contraddistingue gli uomini d’ ingegno e li spinge ad andare oltre (il suo lavoro era , non a caso, amato dal grande Emanuele Luzzati che non mancava mai, quando passava da Venezia, di fargli visita e saccheggiarlo di un po’ di quella preziosa materia prima da cui partiva per le sue magiche creazioni) la sua visione del mondo e della società in cui vive è allo stesso tempo concreta e rarefatta così come il liquido reso vischioso da una speciale resina arborea ( in Oriente ) o dalle alghe islandesi ( in Occidente) da cui parte per creare le sue fantastiche creazioni che si dipingono, sotto i miei occhi, di colorate vampe ed accenti ironici come i suoi fantastici pesciolini, quasi guizzanti tra le onde cromatiche. Non c’è niente nel suo ‘regno’ che non trasudi originalità e passione, caratteristiche che qualsiasi artista-artigiano dovrebbe possedere prima di coniarsi di tal nome, nulla di industriale nel suo modo di procedere ma tutto orgogliosamente fatto a mano ( anche i pettini che solcano l’acqua definendo onde colorate per realizzare su carta il noto motivo dei pavoni ) nessuna ampollosità, ma solo la fierezza e la serenità di chi trae gioia dalla sua stessa arte e dal comunicarla ad altri . É un uomo positivo e solare Alberto Valese, raf finato e creativo come gli oggetti che realizza e che ingannano con la loro apparente pesantezza.
In tutto questo non c’è spazio per la regalità dei sontuosi Carnevali Veneziani, comprati e svenduti per il piacere di un turismo dorato e finto, come non c’è spazio per le recite in Fenice dove una gran parte del pubblico segue lo spettacolo con la stessa attenzione che dedicherebbe ad uno show a Disneyland e, tirando le somme, mi rendo alla fine conto che non è tanto il prodotto finito dell’artigiano che fa la differenza, in quanto facilmente clonabile, quanto la sua volontà e passione nell’idearlo, crearlo , modificarlo e trasmetterlo a chi vuole ascoltare ed apprenderne le radici così come la sete di ricerca inesauribile da cui è tenuto in vita. Questo è ciò che l’artigianato e specie quello veneziano , dovrebbe trasmettere , non il ‘cosa’ ed il ‘come’ ma i ‘perchè’ ed i ‘ma’ … nell’arte della ricerca e del dubbio siamo sempre stati maestri ed è questo che rapisce il mondo intero in ogni settore ed è ciò che dovremmo tutelare come il nostro più intimo Graal … lo capiremo mai ? Nel dubbio una chiacchierata con Alberto potrebbe illuminarvi….
Venezia, 2015
SILVIA CAMPANA