Prende il via in sordina la Terza Edizione del Festival “Orizzonti verticali”, tra gli sguardi intrecciati di critici e giornalisti giunti in loco per l’evento da diverse parti d ‘Italia e quelli degli spettatori occasionali, pubblico composito di turisti e stanziali.
Rispetto allo scorso anno pare allargarsi l’interesse di questo appuntamento anche tra i non addetti ai lavori, non solo per gli spettacoli a scena aperta nelle piazze, ma anche per quelli al chiuso nel centro storico della città che bisogna rintracciare attraverso le mappe o seguendo le indicazioni dei cartelloni presenti nei punti strategici della città e aggiornati di giorno in giorno.
Ma il clima che si respira è informale, quasi amicale, fatto di un’accoglienza lontana da clichè e da formalità ridondanti, nello spirito di un teatro “incontro” i cui eventi sembrano accadere quasi accidentalmente, nonostante l’efficiente macchina organizzativa sottostante.
Questa tipologia di Festival, alternato tra spettacoli, incontri, dibattiti ufficiali e ufficiosi, predisposti in luoghi istituzionali e informali, tra i numerosi locali e le viuzze medioevali caratteristiche del centro storico, cornice ideale per riflessioni personali ed allargate, induce ad una lettura interpretativa complessiva in cui anche gli umori, le qualità relazionali, la ricchezza culturale personale si intrecciano strettamente collegate ai contenuti, ai linguaggi, alle tematiche degli eventi.
Così anche i talk walk di Urban Experience condotti da Carlo Infante diventano contributo significativo per uno sguardo che si allarga alla città, in incursioni che incrociano riflessioni personali che spaziano dal teatro all’arte alla storia culturale di San Gimignano.
Il Festival si apre il 1 luglio con “L’arte della fuga”, di e con Luca Scarlini, un racconto site specific su “Benozzo Gozzoli e sugli affreschi del ciclo di Sant’Agostino a San Gimignano”, replicato in inglese il giorno successivo, a sottolineare un’apertura ad un pubblico di spettatori viaggiatori.
Il racconto, svolto nella Chiesa di Sant’Agostino, dove sono conservati gli affreschi, è l’occasione per affrontare il rapporto tra il pittore Gozzoli e il coltissimo frate agostiniano Domenico Strambi, già docente alla Sorbona, ma anche quella di immergersi negli ultimi decenni del ‘400, periodo storico ricco di arte e nel quale la figura di Sant’Agostino brilla, figura quanto mai attuale, nel mettere in luce tutte quelle contraddizioni che riemergono nei momenti storici di passaggio come quello dal Medioevo al Rinascimento.
E’ un’introduzione sapiente, ricca di sollecitazioni, capace di allargare lo sguardo interiore e al contempo abbracciare la storia, nelle spinte ideali ed esistenziali che il passato ci suggerisce e che non ci sembra rimanere isolata, quanto piuttosto continuare con la successiva proiezione del film “La città ideale” di e con Luigi Lo Cascio.
LA CITTA’ IDEALE
1 luglio 2015 ore 20,30
Teatro dei Leggieri
Interessante e controcorrente questo primo film da regista, presentato al Festival di Venezia nel 2013, di e con Luigi Lo Cascio, attore, già interprete di numerosi film di firme registiche prestigiose quali Cristina Comencini, Pupi Avati, Giuseppe Tornatore e Mario Martone, e in “La città ideale” anche interprete principale, costantemente sullo schermo e sempre capace di catalizzare l’attenzione dello spettatore.
“La città ideale” è la storia di Michele Grassadonia, palermitano emigrato a Siena, fervente ecologista e che, nell’eleggere Siena quale città ideale la sceglie per un esperimento di sopravvivenza in piena autosufficienza energetica, esperimento che da quasi un anno compie all’interno del proprio appartamento rinunciando all’acqua corrente e all’energia elettrica.
In una notte di pioggia però, mentre si trova alla guida di un’auto ecologica, si trova coinvolto in un incidente. A seguito di quest’evento entrerà in una sorta di ingranaggio kafkiano la cui soluzione appare sempre più lontana.
Molte le traiettorie che si intrecciano in questo film solo apparentemente centrato sull’individualità del protagonista che il regista usa quale chiave di lettura di un contesto contraddittorio e sfaccettato, tanto logico e coerente in superficie quanto complesso e disarticolato appena un elemento casuale si inserisce ad interferire con l’ingranaggio.
Così lo sguardo di Michele diventa il nostro sguardo, che scivola tra un dettaglio e l’altro ad illuminare le zone d’ombra di una città vista nella sua parte più nascosta, fatta di cantine e cunicoli. Emergono dall’ombra i rappresentati della giustizia, visti nell’esteriorità della propria funzione, eredi di tradizioni e di culture diverse ( emblematica la contrapposizione puramente descrittiva dei due avvocati toscani e palermitani con le diverse linee di difesa), emergono altre figure di contorno a rendere più credibile l’esistenza di Michele, presenza “onirica” sospesa tra interpretazione e realtà, il cui sguardo lucido e “ingenuo” mette a nudo una società priva di ideali, in un grido di stupore soffocato.
C’è la necessità di fermare nella memoria questa avvincente produzione, oggi così controcorrente per il linguaggio drammaturgico utilizzato, ricco di sfumature e di rimandi, venato di inquietudini e di impercettibili disagi, con cambi d’umore repentini nel portare lo spettatore verso ipotesi improvvisamente abbandonate, senza effetti speciali e senza un finale chiaro.
Ma è proprio questo che ci piace, questa grande sensibilità ed attenzione al percorso piuttosto che al risultato, questa ricerca di “verità” lungo le traiettorie che concorrono a costruire un contesto sociale, questa ricerca di consapevolezza del sé imprescindibile dal fuori di sé, questo sguardo che abbraccia con stupito dolore una società dalla quale non sei riconosciuto e che tu non riconosci.
E per questo lo riteniamo coraggiosamente “controcorrente”, così lontano non solo dalla produzione commerciale di facile consumo, ma anche dagli schemi collaudati del cinema, che, in funzione dell’ipotetico pubblico, preferiscono la leggibilità di una trama trasparente, ai percorsi zigzaganti e stordenti per la qualità e quantità di sollecitazioni.
Colpisce per questo anche la relativamente giovane età del regista che, aldilà del livello della buona maturazione espressiva ed artistica , tanto come autore che attore e regista, firma un lavoro che sarebbe stato maggiormente apprezzato in altri tempi, quando la consapevolezza di una coscienza storica sostituiva parte dello spazio che oggi l’io individuale assorbe quasi totalmente.
( Questa considerazione verrà opportunamente ripresa dallo spettacolo “Esperimento deserto_primo studio” di Alessio Martinoli e Laura Bandelloni)
La reazione dello spettatore medio a questo film rimane infatti il nodo centrale, nella consapevolezza di una disabitudine a linguaggi diversi.
Lo si è parzialmente visto dall’incontro con l’autore immediatamente successivo alla proiezione del film in cui qualcuno ha dichiarato lo spiazzamento di fronte all’assenza di un finale, tradendo con ciò una difficoltà di lettura generale dell’opera.
E’ lo stesso problema che si pone quando si innestano in teatro percorsi di ricerca che esulano dal convenzionale, cioè ci si allontana dai linguaggi consolidati e socialmente condivisi, per intraprendere strade personali etiche e poetiche: una forbice oggi, nella “società dell’ovvio”, che si apre spesso immediatamente nel passaggio dal teatro d’intrattenimento a quello “impegnato”, quando le tematiche affrontate e i quesiti posti richiedono esplorazioni linguistiche diverse dal consueto.
Personalmente auguro all’autore di non perdere questa propria originalità di taglio, che seppur frutto di contaminazioni e citazioni già note, come umilmente da egli stesso dichiarato in corso di dibattito, ha il personale pregio di un assemblaggio del tutto personale e di proseguire sulla strada intrapresa anche se non immediatamente pienamente compresa dal grande pubblico.
E’ anche vero che le inquietudini che serpeggiano nel film, più tese ad inquadrare un contesto in senso ampiamente storico che non ad affrontare tematiche pure presenti nel film quali la ricerca della verità e della giustizia con giudizi di valore, appaiono sottendere ben altri approfondimenti sotto il coltello registico che comincia solo a scalfire la torta /contesto, non facendo intendere quanto sia lo spessore della torta, quanti strati cioè sotto possiamo ancora analizzare prima di comprendere chi siamo, da dove veniamo e dove stiamo andando.
TALK-WALK “Generazioni a confronto”
2 luglio 2015 ore 17
Cortile del Palazzo Comunale, Piazza Duomo
La giornata del 2 luglio prende avvio con il talk + walk “Generazioni a confronto: incontro tra pubblico, artisti, scrittori, critici, giornalisti, operatori” dal tema: “900. Secolo crudele”, seguito dal radio walk show : conversazioni nomadi con ascolti via radio e web a cura di Carlo Infante- Urban Experience, una passeggiata per le vie di San Gimignano con i contributi di Marco Balliani, Luca Scarlini ed il Sindaco di S. Gimignano, a rintracciare ricordi e registrazioni della Prima Guerra Mondiale e gli elementi significativi artistici collegati ad essa e sparsi nel territorio.
ATTRAVERSANDO IL SECOLO CRUDELE
2 luglio 2015 ore 21
Piazza Sant’Agostino
Sempre il tema della guerra rimane trasversale al successivo appuntamento teatrale di Roberto Guicciardini “Attraversando il secolo crudele- Tracce, immagini, orrori, memorie, presagi” letture di pagine esemplari, spesso di valore testimoniale, tratte da T.S.Eliot, G.Ceronetti, S.D’Arrigo, P.P.Pasolini, I. Kertész, E.Junger, B.Brecht, Z.Kolitz, C.Toibin, condotte dagli attori Lombardo Fornara e Leda Negroni e dagli allievi del Laboratorio di Drammaturgia e Arti Sceniche: due ore di recital appassionato, a tratti duro con una Leda Negroni in splendida forma e motivato dalle seguenti note di regia di Roberto Guicciardini:
“…….In questo nostro tempo in cui le vicende umane e storiche si sovrappongono in modo caotico, sommerse in una opacità sempre più diffusa che ne confonde e ne altera i lineamenti, uno scandaglio di appropriazione recitativa, in cui la parola si fa corpo, può servire ad identificarne le origini, il malessere, le paure…….”
ESPERIMENTO DESERTO_ primo studio
2 luglio 2015 ore 23,15
Piazza Sant’Agostino
Aggressivamente convincente questo “Esperimento Deserto_ primo studio” condotto da Alessio Martinoli, in un’interpretazione sanguigna e graffiante, progetto realizzato in collaborazione con Laura Bandelloni, certamente da approfondire, ma che già in sé raccoglie spunti e idee di messa in scena fertili ed accattivanti.
Dalla lettura classica di un brano tratto da “Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati, l’azione si sposta all’oggi e il suono di un cellulare induce il protagonista ad abbandonare la lettura per dirigersi ad una festa.
Molte le tematiche incrociate in questo successivo passaggio. Lo sguardo è di chi si pone domande sul senso della propria esistenza, straniero in un mondo ricco di dettagli apparentemente scollegati: dai rituali commenti delle vecchine incrociate sull’autobus, alle battute scontate dell’egocentrico di turno, mentre uno sguardo “straniero” indugia sull’analisi dei comportamenti degli sconosciuti compagni di festa. Si compie così un affresco “non senso” in cui ogni individualità deve trovare gli espedienti per esistere ed affermarsi: l’utilizzo dei network nell’ingenuo tentativo di segnare il proprio passaggio marcandolo. Ma il quadro che ne esce è un quadro di solitudine esistenziale, uno spazio infinito in cui ogni azione sembra inutile, come quello del Deserto dei Tartari.
LA SEZIONE DANZA DEL FESTIVAL “ORIZZONTI VERTICALI” DI S.GIMIGNANO
Intervista a Patrizia de Bari
Uno sguardo alla danza, a queste quattro produzioni inserite nel Festival. Quale la filosofia del Festival rispetto alle scelte di selezione?
Partendo dal concetto di Festival quale incrocio di linguaggi, il primo obiettivo è l’eterogeneità, l’esigenza di offrire agli spettatori una panoramica variegata di stili e modalità che permettano sguardi e approcci diversi.
In considerazione poi del sottotitolo del Festival “ generazioni a confronto” si è cercata una eterogeneità che comprendesse produzioni anche molto giovani, con i rischi insiti nella scelta, e produzioni al contrario di nomi e compagnie di affermata professionalità. E’ anche vero che con alcune compagnie presenti vi è un dialogo di anni e il coinvolgimento in una progettualità territoriale, intrecci che non si possono ignorare.
Alla fine anche se un numero così esiguo di performance dovrebbe meritare un massimo livello abbiamo preferito correre il rischio di esiti inferiori nell’invito a Compagnie poco note e che stanno muovendo ora i primi passi nella danza, come quella di Marta Bellu/Digitalis Purpurea “ How to do things with words”, il cui progetto peraltro è risultato vincitore nel 2014 del Bando “Sostegno a nuova produzione” delle Residenze Toscane.
Parlami ora di questo spettacolo “ Bianchisentieri” di cui firmi la coreografia.
Bianchisentieri è una performance che parla di cultura, questo abito che facciamo nostro e che ci caratterizza nella nostra individualità. Le cinque danzatrici coinvolte lo incontrano incuriosite e lo indossano. Il vestito è artigianale, fatto di pagine di libro e una volta indossato permette a ciascuna la ricerca di una strada personale.
“Bianchi” come i fogli e “Sentieri” come i solchi della scrittura, fonte primaria della trasmissione e del sapere.
Come è nato questo progetto e qual è la metodologia che hai usato?
Lo spettacolo ha una lunga storia, perchè nasce due anni fa ed ha già debuttato in altri spazi. Il lavoro muta e si adatta ai diversi luoghi per i quali è pensato. In questo festival è la prima volta che si misura in una piazza. Le danzatrici sono molto giovani anche se tutte professioniste e hanno collaborato insieme a me al progetto, in fase di creazione, attraverso libere improvvisazioni. Personalmente ritengo importante dare chiavi di lettura e aprire le innumerevoli porte che la danza può offrire a partire dalle singole individualità. E’ la qualità artistica che mi interessa, cioè quella capacità di unire l’emozione al gesto, ma per questo è necessaria una consapevolezza che viene dall’esperienza e da una modalità di lavoro che si interroga sulle emozioni. E’ sostanzialmente questa la differenza che distingue una semplice ballerina da un’artista. Questa capacità di “riempire” il gesto coreografico attraversa tutta la danza, da quella classica a quella contemporanea in cui questo processo di riappriopriazione di senso diventa più naturale nello svincolarsi dai codici linguistici classici.
Gli spettacoli
Quattro gli spettacoli di danza presenti in questo Festival, tra cui il primo “Adagio appassionato” della Compagnia Opus Ballet, allestito in Piazza delle Erbe il 2 luglio, per la coreografia di Vasco Wellenkamp, visto solo parzialmente e di cui per questo non recensiamo se non nel sottolinearne la fluidità interpretativa.
La compagnia di danza Opus ballet è diretta da Rosanna Brocanello.
Vasco Wellenkamp, già direttore del National Ballet Company di Portugal e fondatore nel 1998 della Copanhia Portoguesa de Bailado Contemporaneo è personalità di spicco nel panorama della danza contemporanea.
BIANCHISENTIERI
Piazza Duomo ore 17 del 2, 3 e 4 luglio 2015
Esteticamente accattivante, gradevole allo sguardo, pregnante nei contenuti questa performance, che ha il proprio punto di forza nell’idea di partenza: la conservazione e la trasmissione di saperi, l’importanza della memoria e la forza performante della cultura.
La cultura si intreccia al corpo in un abbraccio iniziale e si nasce a nuova vita.La metamorfosi richiama immagini surreali. Le ballerine, simili ad animali fantastici, si trasformano. Ciascuna prenderà infine la propria direzione, in un’emblematica immagine finale di diversità e libertà.
Bel successo di pubblico tutte le repliche nello spazio indovinato di piazza.
La performance, perfettamente in linea con il tema del Festival, ideata da Tuccio Guicciardini e Patrizia de Bari, che ne firma anche le coreografie, è interpretata da Martina Belloni, Marcella Cappelletti, Giada Cardin, Camilla Diana, Yael Reunif, per gli originali costumi di Rosaria Minneci, realizzati con coni di carta di pagine scritte legati tra loro.
HOW TO DO THINGS WITH WORDS- Studio su un enunciato performativo infelice.
3 luglio 2015 ore 21
Teatro dei Leggieri
“ Come fare le cose con le parole?” Questo il quesito di fondo della performance, concept e coreografia di Marta Bellu, anche interprete insieme a Daniele Ledda.
Il corpo agisce in sinergia con il linguaggio scritto in una sorta di traduzione simultanea a doppio binario, ma la performance si ripiega ripetitivamente su se stessa, esaurendosi in un linguaggio sterile e non comunicante, rimanendo fredda e distaccata dagli spettatori. Non convince quindi questa giovane produzione che forse nelle intenzioni appariva migliore: progetto vincitore 2014 NP_Sostegno a una nuova produzione delle Residenze Toscane e che avrebbe potuto, una volta svelata la chiave di lettura iniziale, aprirsi a strade più feconde.
PIETA’_SAN GIMIGNANO & POGGIBONSI
4 luglio ore 21 e 22 Fonte delle fate-Poggibonsi -Prima Nazionale
5 luglio ore 19 Palestra Scuola Primaria- San Gimignano
Gli interpreti di questa performance, firmata da Virgilio Sieni/ Accademia sull’arte del gesto,sono un gruppo di cittadini composto da uomini, donne e bambini di San Gimignano e Poggibonsi. La messa in scena è corale in una cura del gesto e del dettaglio che procede all’unisono sulla spinta di un “sentirsi” partecipi di un gruppo, in un ritmo rallentato segnato dalle tappe di un viaggio: un esodo che ricorda quello dei migranti. La presentazione dice anche che “ i corpi degli interpreti dialogano con le figure della pietà e delle deposizioni dei maestri del Quattrocento e del Rinascimento”.
Il punto di forza di questa performance è più nelle modalità che nelle tematiche affrontate che non sembrano né nuove né particolarmente originali. Apprezzabile in particolare il coinvolgimento attivo di semplici cittadini anche se rimane la perplessità della scelta per la messa in scena di uno spazio chiuso.
ORIZZONTI VERTICALI SI CHIUDE CON SPAZI MUSICALI E DUE SPETTACOLI TEATRALI DI DIVERSA GENERAZIONE: TRINCEA E ANIMALI DA BAR.
Ce n’è davvero per tutti i gusti musicali: dalle sperimentazioni sul suono di “Soli paralleli”, in Prima Nazionale il 3 e il 4 luglio presso la Galleria De Grada per le musiche originali di Gianluca Olivelli, evento in collaborazione con l’Istituto Superiore di Studi Musicali R.Franci di Siena, all’audio visual live set “from T.E.L.to DANCE “a cura di Mirto Baliani e Andrea Montagnani, proiettato domenica alla Rocca di Montestaffoli, espressione di una ricerca musicale condotta insieme a Luigi De Angelis nelle aree del Nord Africa e Medio Oriente ispirandosi alla figura di Laurence d’Arabia, già colonna sonora dell’omonimo spettacolo teatrale della compagnia Fanny & Alexander, passando attraverso il Concerto per voci e piano della Fondazione del Maggio Musicale Fiorentino, programma operistico classico con arie tratte da opere di Puccini, Bizet, Offenbach, Verdi, Saent-Saens, tenutosi sempre domenica in Piazza Duomo.
Salti di genere e stili che hanno indubbiamente accorpato pubblici diversi e che hanno offerto con coraggio un’eterogeneità di proposte piuttosto lontane tra loro.
Interessanti come sempre anche i talk walk con Carlo Infante, di Carlo Infante e Matteo Siracusano, in particolare le escursioni alla Galleria Continua di via Castello 11, una delle più importanti d’Europa , con la sorprendente mostra “Descension” di Anish Kapoor e la mostra “Prima dello specchio” di Michelangelo Pistoletto, l’incursione dentro l’ex carcere di San Gimignano, con una vista mozzafiato su tutta la toscana, le fonti di San Gimignano, incrociando quesiti che hanno scandagliato i nessi artista/artigiano, critico/spettatore, turista/viaggiatore, memoria e performance.
Ma sono stati soprattutto i due spettacoli teatrali a catalizzare l’attenzione di tutti durante queste due giornate: Trincea e Animali da bar, entrambi con luci e ombre e tali da suscitare qualche perplessità, pur con motivazioni diverse.
TRINCEA
3 luglio ore 22
Rocca di Montestaffoli
Scritto e interpretato da Marco Baliani, per la regia di Maria Maglietta, lo spettacolo ripercorre la durezza di vita di trincea vista con gli occhi di un soldato impegnato nella prima guerra mondiale, voce anonima ma paradigmatica che si racconta, ma soprattutto corpo che rivive in scena le durissime condizioni cui è sottoposto. Isolato, la sua vita in trincea diventa attimo per attimo sforzo di sopravvivenza tra i cadaveri in una percezione del tempo dilatata ed irreale, frammentata da esigenze primarie che costringono il soldato a mollare a tratti la propria postazione per affrontare il fuoco dei cecchini.
Suggestive le proiezioni video- musica e immagini di Mirto Baliani e visual design di David Loom- che accompagnano questa drammaturgia fisica e drammatica, capaci di restituire atmosfere e visioni e di collocare immediatamente in uno spazio preciso il protagonista che non ha altri appigli scenici se non l’utilizzo di una botola e di un manichino fasciato.
Intensa l’interpretazione attoriale del protagonista e la padronanza fisica nell’accuratezza del gesto e del dettaglio, particolarmente evidenti nella parte finale dello spettacolo, ma la frammentazione del testo, per quanto voluta e dichiarata, interrompe a tratti l’azione scenica che cade in momenti descrittivi e scontati, togliendo pregnanza alla credibile drammaticità dell’opera.
ANIMALI DA BAR
4 luglio ore 21,30
Rocca di Montestaffoli
Un bar di quartiere come tanti, popolato da personaggi allo sbando, che eleggono il bar quale luogo per le proprie confessioni, mentre dall’esterno giunge ogni tanto la voce di un vecchio malato,con le proprie pretese e i propri desideri.
Come è nello stile di Carrozzeria Orfeo e nella tipicità delle drammaturgie di Gabriele Di Luca anche qui gli ingredienti non mancano: una donna ucraina con passato dubbio che affitta il proprio utero ad una coppia italiana, un imprenditore cocainomane e ipocondriaco che gestisce un’azienda di pompe funebri per animali, un buddista che subisce le percosse della moglie, un ladro zoppo e uno scrittore alcolizzato.
Nonostante le premesse possano fare supporre un testo impegnato nell’analisi delle contraddizioni di un sociale variegato e contraddittorio, la piece rimane staticamente in un unico piano rispetto al quale i personaggi si raccontano descrivendosi, in un affiancamento di superficie che non permette mai di scavare veramente all’interno di ciascuno o di formulare quadri interpretativi interessanti.
Non mancano certo le battute in questo testo ricco ma preconfezionato, che si appoggia su clichè d’effetto, e che alterna osservazioni puntuali e acute a luoghi comuni, inducendo lo spettatore a cogliere più l’aspetto di comicità surreale dell’insieme che non a riflettere sulle tematiche sollevate.
La sensazione finale è quella di una drammaturgia che scivola senza penetrare, piacevole ma poco consistente, ben scritta e altrettanto ben recitata- bravissima come sempre Beatrice Schiros che spicca particolarmente- e per tutto questo adatta ad un pubblico di largo consenso, ma che forse avrebbe potuto riscattarsi maggiormente ed acquistare spessore in una messa in scena più agita, più costruita su una metodologia legata alle improvvisazioni, più interiormente meditata, che non essere semplice trasposizione di un testo preordinato a priori.
ORIZZONTI VERTICALI E LA BELLA SCOMMESSA “ORIZZONTALE” DI URBAN EXPERIENCE. RIFLESSIONI.
Se nel Festival “Orizzonti verticali” di San Gimignano la scelta dicotomica dei due termini “ orizzonte” e “verticale” declinati al plurale richiamano esplicitamente visuali diverse nello spazio ( la verticalità di un territorio in salita come quello di San Gimignano e delle sue torri che spiccano nell’orizzonte) e nel tempo (lo scarto verticale tra generazioni che faticano a passarsi il testimone),
il termine verticale richiama un altro tipo di verticalità, questa volta con accezione negativa, spesso incombente sui numerosi Festival disseminati sul territorio italiano e tale da renderli “ calati dall’alto”.
Perchè non basta la sola presenza di artisti giovani a rompere le schiere di quelli più anziani, né sono sufficienti le loro solo opere innovative, anche se dirompenti o performanti, a creare quella potenza d’urto capace di suscitare quesiti e dibattiti, soprattutto se nella complessa macchina organizzativa questi incontri passano in secondo ordine, né tantomeno mature e collaudate produzioni di chi da più tempo è presente sulla scena riescono a fare da esca innestando curisità di percorsi precedenti e di scelte a monte, se anche tra gli stessi artisti non vengono promosse occasioni di confronto oltre gli spettacoli. Perchè la orizzontalità o verticalità di un festival si misura tanto dalle modalità di lavoro di costruzione dello stesso, quanto dalla qualità di partecipazione di tutti: quanti concorrono a realizzarlo, gli spettatori e quanti gravitano intorno più o meno casualmente.
C’è da interrogarsi ad esempio sul successo immediato dei festival di strada che, aldilà della qualità delle proposte, sembrano essere gli unici a catalizzare così massicciamente l’attenzione a volte creando folle e assiepamenti di curiosi, fatti tanto da turisti casuali che da spettatori spesso informati per passaparola, successo dovuto probabilmente anche ad una scelta di spazi esterni “per tutti”, senza impliciti filtri.
( La lettura dei filtri occulti, percepiti spesso dagli spettatori, meriterebbe un approfondimento a parte)
Una bella scommessa sociale in questa direzione orizzontale pare essere il format di walk talk di Urban Experience condotto da Carlo Infante e Matteo Siracusano, capace di intercettare il desiderio di partecipazione insito in ciascuno di noi, spesso represso da pratiche abituali fondate sul mero ascolto “verticale”, inducendo i partecipanti a mettersi in gioco facendo circuitare le proprie esperienze, conoscenze, visioni e opinioni, in una sorta di full immersion multisensoriale che incrocia le bellezze e particolarità del territorio con la nostra memoria storica, collettiva ed individuale.
E’ interessante notare come questa bella scommessa ideale, dalle intenzioni non così scontate e foriera di rivoluzionarie pratiche ( non a caso Carlo Infante tra le altre cose si definisce changemaker) , intrigantemente condotta da Carlo Infante che ne diventa il performer, punta sulle risorse personali di ciascuno avviando interessanti dinamiche interpersonali.
Mira ad incidere sulle relazioni, rompendo clichè formali precostituiti, a volte spiazzando i partecipanti su terreni di dialogo ed intervento cui normalmente non si è abituati ,nel tentativo di rompere una serie di luoghi comuni tra i quali il meccanismo di delegare agli esperti di settore opinioni e definizioni.
E’ indubbio che la passeggiata peripatetica con radioline ricetrasmittenti sul piano individuale diventa una buona palestra di allenamento per lo sguardo e la mente, e ad una prima lettura riscontra interesse proprio per la ricchezza di sollecitazioni cognitive e sensoriali nell’esplorazione spesso di luoghi inediti: chi a San Gimignano sarebbe mai entrato a visitare un carcere raccogliendo le testimonianze della sua storia passata e dei suoi progetti istituzionali futuri, percorrendo l’”ora d’aria” dei detenuti e ammirando la straordinaria bellezza di un panorama che si estende sull’intera toscana in veste di viaggiatore o curioso?
Ma bisogna praticarlo un po’ per comprendere che sul piano sociale questo format impattante ed inedito si rivela oggi rivoluzionario perchè controcorrente, etico perchè tende alla riappriopriazione di valori che oggi si stanno disgregando come la coscienza di sé e della propria identità o la ricostruzione della memoria individuale e collettiva, pedagogico perchè ha in sé un processo di autotrasformazione personale, creativo nello svelarci possibilità di interazione sociale, cognitiva, esperenziale e sensoriale cui non avremmo pensato.
E’ certo un format imperfetto per definizione, che cerca di governare le innumerevoli variabili di percorso, ideato con intelligenza ma costruito nell’atto stesso in cui accade e per questo imprevedibile.
L’attenzione e lo spessore culturale dei partecipanti sono importanti, così come le loro motivazioni e il loro desiderio di mettersi in gioco fuori dai ruoli, rinunciando ad “abiti” più comodi. Per questo ogni talk walk è diverso dall’altro, più o meno ricco di dettagli, più o meno ricco di approfondimenti e di divagazioni, più o meno intenso nell’intreccio delle relazioni, più o meno capace di muovere “corde sensibili”, ma sempre significante ed illuminante sul piano esperenziale.
Emanuela Dal Pozzo