LE OPERE DELL’ARENA DELLA STAGIONE 2015. BILANCIO.

Don Giovanni” si direbbe opera non da arena e di certo è vero perché gli ampi spazi dell’anfiteatro non si confanno né alle raffinatezze della partitura né alle implicazioni, sempre contemporanee e ricche di significanti del magnifico libretto di Da Ponte. C’è da sottolineare altresì che, se in mano ad un Direttore d’Orchestra intelligente e raffinato che non tema questi spazi e non se ne senta né stritolato né tanto meno intimorito ma anzi stimolato a presentare una sua originalissima lettura della partitura, fors’anche il capolavoro mozartiano potrebbe assumere un suo perché in arena, riuscendo ad arrivare direttamente al cuore, o meglio, all’anima degli spettatori.

Questo è difatti avvenuto in occasione della riedizione dell’allestimento creato da Zeffirelli per l’arena nel 2012. che , per quanto riguarda la sola struttura scenica ( cavalli, muli, musicisti e saltimbanchi a parte) costituirebbe una bella scatola scenografica, ottima quale sfida artistica da proporre, con poca spesa, ad illustri registi in quanto adattabile ad una buona parte del repertorio. Ricca di scorci, scale e praticabili, la struttura infatti, opportunamente adattata ed incernierata da diverse ( e, perché no, contrastanti? ) letture registiche, sarebbe perfetta per la rappresentazione di un qualsiasi luogo ideale del melodramma romantico e non solo.

Detto questo veniamo dunque allo spettacolo cui il M°Stefano Montanari donava ritmi serrati, giusto fraseggio ed una quadratura con il palcoscenico davvero notevole . Così tutto sembrava miracolosamente funzionare, i cantanti cantavano, i musicisti suonavano e l’opera aveva una sua completa e trascinante unità, prova che ciò, se si vuole, si può ottenere ‘anche’ in arena e con un titolo così poco popolare e complesso quale “Don Giovanni”. Complimenti dunque per la sfida, a mio avviso, quest’anno completamente vinta.

Il cast che si muoveva sulla scena evidenziava, nel complesso, una giusta combinazione tra scena, parola e musica.

Dalibor Jenis disegnava un Don Giovanni di lusso per giusta vocalità, attenzione alla parola e raffinata teatralità così come davvero notevole per raffinatezza esecutiva, timbro e giusto fraseggio si presentava la Donna Anna di Ekaterina Bakanova.

Non così per la pur professionale Donna Elvira delineata da Daniela Schillaci che non possedeva timbro né temperamento idonei per questo tipo di ruolo che risultava dunque eseguito ma non approfondito adeguatamente. Un repertorio diverso sarebbe certamente più consono alla giovane artista e le permetterebbe di esprimersi con maggior omogeneità e completezza.

Decisamente sopra le righe il Leporello di Marco Vinco che, pur musicalmente misurato, tratteggiava un personaggio superficiale, abusando di trovate ad effetto che poco o nulla avevano a che fare con il ruolo e sulla stessa lunghezza d’onda sembrava muoversi la Zerlina di Natalia Roman.

Professionali e corretti Saimir Pirgu quale Don Ottavio, Christian Senn quale Masetto e Insung Sim nei panni del Commendatore.

Il noto allestimento di “Tosca” creato per gli spazi areniani nel 2006 da Hugo De Ana scelto e riproposto per l’ennesima volta, risulta sempre suggestivo in anfiteatro perchè combina con giusta sapienza e fascinazione teatrale, ciò che appartiene alla tradizione (l’arcangelo Michele di Castel Sant’Angelo, il “Te Deum” e via discorrendo) con una più moderna interpretazione scenica e filologica, scelta artistica che più volte ha trovato in arena il suo successo e che potrebbe in molti casi rappresentare una buona alternativa ad allestimenti interessanti ma pericolosi (tipo l’”Aida” de ‘La Fura del Baus’) o quasi totalmente privi di interesse teatrale ma di stampo populistico (l’”Aida” di Zeffirelli) dunque in attesa che una qualche alternativa all’attuale (che trova nella riproposta di titoli già stranoti, la sua ragion d’essere) sia trovata.

Passiamo ora allo spettacolo in questione.

La giovane promessa in continua crescita Dario Di Vietri nel ruolo di Mario Cavaradossi confermava una vocalità naturale dal bel colore e dalla facile estensione in acuto ma anche una certa fragilità in appoggio e nel registro centrale dove ancora il timbro necessiterebbe di maggior cesello e rotondità che anche in acuto andrebbe ricercata.

La Tosca di Elena Rossi convinceva appieno per il timbro teatrale e pastoso , la tecnica precisa ed il fraseggio curato e sapiente. Il suo personaggio trovava così rotondità e spessore interpretativo e, sollevandosi dai ‘clichè’, acquisiva moderno spessore teatrale ed anche Ambrogio Maestri, pur non possedendo la raffinatezza interpretativa che il personaggio richiederebbe, in questa recita trovava momenti di giusta drammaticità.

Completavano il cast :Deyan Vatchkov (Angelotti), Federico Longhi (Sagrestano), Paolo Antognetti (Spoletta),Nicolò Ceriani (Sciarrone) e Romano Dal Zovo (Un carceriere).

Il M° Julian Kovatchev, alla guida dell’Orchestra areniana , dirigeva con professionalità trovando un giusto equilibrio buca-palcoscenico.

Anche per “Il barbiere di Siviglia” bisognerebbe fare un discorso analogo a quello già fatto a proposito del “Don Giovanni” in quanto, sia per tracciato prettamente compositivo sia per struttura drammaturgica , l’opera non si presenta come la più adatta per il palcoscenico areniano, per tradizione più consono a melodrammi dalla sceneggiatura più storica e spettacolare ,(Aida, Nabucco ,Turandot ecc.) ma la scelta di affidarne l’allestimento al divertente allestimento ideato da Hugo de Ana, se non brillava certo per intuizione o novità, mostrava altresì l’intenzione positiva di presentare al pubblico un allestimento che pur in un ambito tradizionale, giocava molto sul versante ironico ed interpretativo.

Il grande roseto-labirinto in cui si svolgeva l’azione, sul quale svettavano delle fantastiche quanto gigantesche rose (e una di queste da simbolo fantastico è diventata ahimè marchio di fabbrica di una non altrettanto fantastica realtà veronese quale il museo AMO ) diventava dunque uno spazio della nostra fantasia, ( netto il riferimento al fantastico giardino della regina di cuori dell’Alice di Lewis Carrol) dove si muovono personaggi divertenti e dove tutto ha un senso solo se osservato col sorriso sulle labbra. I costumi variopinti, i movimenti contenuti ma studiati e giustamente calibrati con la partitura, accompagnavano questo allestimento ‘illustrato’ che ci guidava per mano aiutandoci a girare le pagine dello spartito.

Il cast scelto per questa produzione si muoveva senza infamia e senza lode, brillando in qualche caso come il Basilio di Roberto Tagliavini , stupendo in altri come la Rosina di Jessica Pratt, non perfettamente a suo agio nel ruolo sia musicalmente che scenicamente, ma che confermava comunque grande professionalità e rigore, confermando la sicurezza del mestiere in altri ancora, come nel caso del Bartolo di Bruno De Simone, piuttosto che lasciare un po’ con l’amaro in bocca nel caso del Figaro di Mario Cassi, convenzionalmente risolto o deludere nel caso dell’Almaviva di Juan Josè de Leòn dal timbro non particolarmente vellutato e musicalmente non sempre preciso, confermando ancora una volta come il capolavoro rossiniano esiga sempre importanti vocalità e caratteri definiti. Discorso analogo in Orchestra dove la direzione del M° Giacomo Sacripanti si limitava ad accompagnare con sufficiente diligenza ma ciò non può bastare in Rossini e soprattutto in un Festival come quello areniano che dovrebbe porsi al top nel panorama internazionale.

Applausi per tutti gli interpreti ed il Direttore da parte di un ‘arena gremita in gradinata non numerata e praticamente deserta in poltronissime gold e gradinata numerata centrale ed anche di questo spero si tenga presente per il futuro.

Un insieme di considerazioni mi si affollano nella mente pensando alla passata Stagione . Titoli interessanti gestiti con buoni cast ( penso soprattutto al “Don Giovanni” divenuto quasi areniano nella lettura di Stefano Montanari piuttosto che al sempre divertente, ironico e fantasioso “Barbiere di Siviglia” con la regia di Hugo de Ana  ) e a tante altre piccole cose che nel complesso hanno funzionato in questa felice ( meteorologicamente parlando) estate areniana . Quello che peró lascia l’amaro in bocca e sembra non cambiare è l’atteggiamento di fondo con il quale si presenta l’arena, sempre più circo all’aperto e sempre meno teatro di tradizione.

Il Festival areniano ha negli anni acquisito un nuovo pubblico del quale ha contribuito a cambiare il gusto perdendo gradatamente l’autentico appassionato ( che non per forza deve aver superato i 70 anni ) disposto per seguire la sua passione a viaggi e sacrifici e che sdegnando Verona si sta dirigendo altrove, in luoghi, italiani e non, dove l’atmosfera che si respira è più artistica che commerciale . Le cause sono molte ma certo ‘ in primis ‘ i prezzi di alcuni settori della cavea che costringevano in certe serate l’occhio ad uno spettacolo desolante . La realtà é che la stra-celebrata magia dell’anfiteatro ( reale e tangibilissima di fatto) sta gradatamente svanendo, annebbiata dai complici  lustrini e dal lusso di un falso teatro che vive e gioca di apparenza così come in buona parte la nostra televisione.

Perdendo la sua principale  ragion d’essere più profonda e cioè quella di un legame dettato da profonda passione e magnetico pathos  tra pubblico e palcoscenico questo, pur arricchito da qualsiasi orpello, risulta vuoto di contenuti e di conseguenza non provoca passione autentica nel pubblico che vi assiste che non vi trova altro che un mastodontico ma spesso vuoto evento .

Il teatro è altro e lo è sempre stato per quell’insieme di emozioni  uniche e irripetibili che ogni sera cambiano e coinvolgono il pubblico, emozioni che dovrebbero parlare soprattutto, se non esclusivamente, all’animo ed ancor più in un ‘epoca che perennemente riempie occhi e orecchi di qualsiasi cosa esaurendo ogni desiderio. Fin quando non si riporterà l’arena ad un dialogo emozionale ed autentico con il suo pubblico e con la città e la si continuerà a proporre come una ‘Expo della musica’ nulla cambierà e tutto resterà stagnante e la stasi in teatro è morte , ma forse si vuole proprio quello . 

 

Verona, 12/14/20 agosto 2015

SILVIA CAMPANA

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