Il Museo Luigi Bailo, la più antica tra le attuali sedi museali della città di Treviso, aperta nel 1888 e con alterne vicende, tra i danneggiamenti della guerra e i successivi interventi, riaperto e inaugurato l’ultimo week end di ottobre alla presenza del sindaco di Treviso Manildo e dell’on. Dario Franceschini, ha ora una mostra permanente.
Molto di questo Museo si deve negli anni ’30 a Luigi Coletti, docente universitario e conoscitore della storia artistica della città, che, subentrato a Bailo e coadiuvato da altri, si occupò sia della sua rimodernizzazione strutturale sia degli allestimenti, puntando alla valorizzazione degli artisti trevigiani del ‘900.
Nonostante la presenza di opere di rilievo di artisti rappresentativi quali Nino Springolo, Gino Rossi e Arturo Martini, il Museo fu attivo solo fino al 2003, anno in cui venne chiuso al pubblico per inagibilità.
Fu la partecipazione a un bando di finanziamento europeo nel 2010 l’occasione del suo recupero, grazie ad una ristrutturazione radicale, come documentano le fotografie di Zanta in apertura dell’attuale mostra permanente, il cui filo conduttore rimane la collezione di opere civiche di Arturo Martini (1889-1947), sviluppata in senso cronologico. Le sue opere, tra disegni, ceramiche, acqueforti, litografie, xilografie e sperimentazioni grafiche quali le cheramografie, oltre alle note sculture per le quali il Maestro è famoso, ci offrono una panoramica dell’artista fin dagli inizi del ‘900, aperto alle avanguardie post impressioniste e cubiste, ma testimoniano anche la vivacità grafica a Treviso che nel corso di tutto il ‘900 ha contaminato e influenzato molti artisti successivi tra i quali De Roberto, Darzino, De Giorgis, Francesco Piazza, Guerrino Bonaldo e Matteo Massagrande.
Rimane certamente di forte impatto la copiosa collezione delle sue sculture, a cominciare da quelle che troveranno accoglienza nel 1908 al Museo di Ca’ Pesaro di Venezia, con un Martini già studente a Venezia e considerato giovane promessa: Armonie, Giannino, Il palloncino, Equlibrio/contrabbassista, Il poeta/libero pensatore, per citarne alcune, che già testimoniano, oltre la straordinaria padronanza tecnica e plastica, il loro grande potere evocativo.
Unitosi a Gino Rossi, citato nella mostra con qualche opera, uno dei più importanti pittori veneziani della prima metà del ‘900, internato in manicomio e morto a Treviso nel 1947 e ad Arturo Malossi nel 1911, anno della fondazione del gruppo avvenuta presso l’osteria “Colonna” di Piazza Rinaldi, Martini espone nel 1913 nuove opere alla mostra di Ca’ Pesaro intitolandola provocatoriamente “ mostra dei vivi” contrapponendola alla “mostra dei morti” della Biennale a Venezia, considerata “piaga di favoritismi e dedizioni vergognose” e in cui una delle sue opere scultoree “Fanciulla piena d’amore”, qui presente in mostra, creò scandalo per le allusioni sottilmente erotiche cui parte della critica non era preparata.
Alle porte della prima guerra mondiale il gruppo si allarga.
Entrano a farne parte anche Giovanni Apollonio, Giulio Ettore Erler, Gino Pinelli, Nino Springolo, Aldo Voltolin e Guido Cacciapuoti. Si costituisce così un gruppo di artisti trevigiani d’avanguardia, cui si unisce per l’occasione anche Gino Rossi che testimonieranno con le proprie opere, parte delle quali presenti qui esposte, la vitalità artistica di quegli anni nella Marca trevigiana.
Particolarmente fecondo di novità sul piano stilistico/artistico è il periodo successivo di Martini: degli anni ’20 che vede l’artista attratto dalle tecniche cinematografiche e dalla letteratura dai quali trae ispirazione per le proprie figure e ritratti ( Pisana 1929- Lilian Gish 1931); degli anni ’30, momento di particolare ricerca poetica dell’essenziale, attuata spesso con l’utilizzo di terracotte ( Venere dei porti- 1932); degli anni ’40, le ultime opere della sua vita, in cui predomina la ricerca di un rapporto nuovo con lo spazio attraverso forme umane sospese (Donna che nuota sott’acqua- 1941-42) e decostruzioni ( Cavallo allo steccato-1943).
Buona parte della mostra è anche occupata dalle opere post guerra di altri artisti del territorio trevigiano. Paesaggi, figure e nature morte si avvicendano nei quadri di Bepi Fabiano, Silvio Bottegal, Nando Coletti, Juti Ravenna, fino al successivo Giovanni Barbisan (1914-1988) a testimonianza di una cittadina di provincia ricca di sollecitazioni e di intrecci anche internazionali in ambito artistico e i cui scorci e vedute di campagna, nell’impalpabile quiete dell’alternarsi delle stagioni, hanno attratto all’arte.
Vista il 30.12.2015
Emanuela Dal Pozzo