Opera interessantissima lo “Stiffelio” verdiano che, appartenente per datazione al giovane Verdi, rappresenta in realtà un banco di sperimentazione dove poter facilmente rintracciare bozze di caratteri che il compositore svilupperà poi nella sua maturità; impossibile infatti non notare, nel personaggio di Stankar, le linee tracciate in maniera più teatralmente completa già nel personaggio di Miller o, più in generale, la figura paterna verdiana che assumerà con il successivo “Rigoletto” tratti eterogenei pur nella sua totale centralità affettiva così come facilmente si possono notare tracce da “La Forza del destino” ( il tema del sacro così profondamente presente ) da “Otello” (quasi analoga la scena dell’anello) e via discorrendo , bene ha fatto dunque il Teatro la Fenice di Venezia ad inserirla in cartellone, pur con tutti i rischi che già sulla carta questa partitura comporta.
“Stiffelio” come quasi tutto il ‘primo Verdi’ necessita infatti di un Direttore energico ma attento a sfumature e fraseggio e di un cast di cantanti che uniscano alla duttilità vocale robustezza tecnica ed intensa teatralità; nella partitura infatti è principalmente proprio la vocalità a caratterizzare caratteri e definire situazioni e se questa è mancante o non musicalmente compenetrata al forte sentire del bussetano, qualsivoglia produzione, pur virtuosa negli intenti, rischia di avere vita non facile.
Così infatti è purtroppo avvenuto nel caso della produzione veneziana .
Johannes Weigand imposta lo spettacolo in maniera astratta ed efficace, ponendo come sfondo del dramma una griglia che soffoca la luce, realizzando una ‘piece’ cupa dalla quale ben trapela la soffocante morale dalla quale il libretto è connotato.
Il dramma religioso di Stiffelio viene così veicolato senza clamore, utilizzando al meglio lo spazio scenico ed evidenziandone tanto le contraddizioni quanto le stridenti contemporaneità.
Di difficile definizione i caratteri dei personaggi che, in un periodo in cui Verdi sta velocemente definendo la sua teatralità che deflagherà già l’anno successivo con Rigoletto, sono ancora sagome ritagliate e si basano esclusivamente sulla loro scrittura vocale per vivere completamente il proprio profilo drammaturgico.
Così il ruolo di Stiffelio, scritto in un registro prevalentemente centrale, conosce delle vigorose impennate in acuto che sfiorano il declamato e veniva affrontato dal tenore Stefano Secco con grande professionalità e dominio tecnico anche se a volte, specie quando la partitura si rivolgeva ai più tempestosi accenti, la voce tendeva un po’ a stirarsi e a perdere la consueta lucentezza mentre l’artista sembrava affrontare con maggiore agio i momenti più prettamente lirici della partitura.
Il soprano Julianna Di Giacomo alle prese con l’impegnativo ruolo di Lisa evidenziava certamente una voce interessante per colore ma anche una mancanza di controllo nel registro acuto che le impediva di raccogliere correttamente il suono che spesso risultava un po’ fisso.
Pur sostanzialmente corretta musicalmente, il suo personaggio stentava dunque a decollare con un risultato complessivo direi teatralmente non completamente soddisfacente.
Di poco si scosta il discorso a proposito dell’altrettanto centrale personaggio di Stankar, qui interpretato dal baritono Dimitri Platanias.
Il suo ruolo è particolarmente intenso ed espressivo e necessita di una vocalità robusta, omogenea nel passaggio, sicura nel registro acuto quanto raffinata ed attenta alla ‘parola scenica’ e l’artista possiede solo parte di queste qualità: di certo la vocalità è rilevante, di notevole volume ed estensione e di bel colore ma l’impostazione quasi perennemente indietro del timbro lo porta ad un canto aperto e sfogato che poco ha a che fare con il ruolo scritto da Verdi che trova nella potenza del fraseggio, nel passaggio e nella morbidezza del suono la sua caratteristica.
Assai bene per timbro, tecnica e giusto accento il Raffaele di Francesco Marsiglia mentre professionalmente impostato il ruolo di Jorg sommariamente definito dal basso Simon Lim.
Completavano il cast Cristiano Olivieri (Federico) e Sofia Koberidze (Dorotea)aestro
Il Maestro Daniele Rustioni dirigeva l’Orchestra de La Fenice con sufficiente raffinatezza attraverso una partitura che ne richiederebbe in abbondanza, tanti sono i colori da cui è pervasa, raggiungendo un buon amalgama con il palcoscenico e professionalmente si muoveva il Coro del Teatro La Fenice diretto dal Maestro Claudio Marino Moretti.
Sala gremita ed applausi per tutti gli interpreti ed il Direttore per questa produzione che, a mio avviso, avrebbe conosciuto con diverse scelte artistiche maggior fortuna.
Venezia,03/02/2016
SILVIA CAMPANA