MARY’S BATH ALLO SPAZIO BIXIO DI VICENZA

Sabato 5 marzo è andato in scena al Teatro Spazio Bixio di Vicenza lo spettacolo Mary’s Bath di e con Claudia Rossi Valli e Tommaso Monza, prodotto dalla compagnia Abbondanza/Bertoni, con l’assistenza di Marco Bissoli, Andrea Gentili per il disegno luci, Fabio Pagano e la stessa Claudia Rossi Valli per le voci, il tutto con il sostegno del Léim Project.

Il lavoro si propone di analizzare la figura di Maria e dell’angelo Gabriele in una veste più umana e terrena, capace di trasformare la bidimensionalità dell’immagine pittorica in realtà fisica in carne ed ossa. Questa nuova interpretazione ne ipotizza l’ umanità a partire da una fragilità e da un senso di inadeguatezza che deriva da un ruolo non perseguito, ma in entrambi i casi piuttosto subìto, imposto da una figura terza che li investe di una responsabilità non richiesta, che ignora l’indole e le reali aspirazioni dei protagonisti.

Questi quindi gli elementi con cui si apre lo spettacolo.

In una scena molto semplice appare per prima Maria, con tutte le sfaccettature di una ragazza normale, da una spontanea sensualità non esplicita, quasi inconsapevole e intensamente femminile ad una genuina tensione mistica. La figura dell’angelo appare subito dopo e lo spettro delle emozioni si fa ancora più nitido. Il suo senso di inadeguatezza è reso dai suoi gesti esitanti. E’ resa bene la titubanza di chi non ha ancora un percorso preciso da seguire, di chi sa che dovrà raggiungere un determinato obbiettivo senza sapere ancora come perseguirlo. Si colgono i suoi sforzi guidati solo dall’ ispirazione e dalla vaga consapevolezza di dover assolvere un compito importante.

In questo clima di ingenuità i due si incontrano e il rapporto che si crea è spontaneo.

Entrambi hanno consapevolezza del proprio ruolo pur vivendolo ancora con grande spontaneità: Maria è ancora una donna giovane e vitale, Gabriele ancora impacciato da un ruolo che si intuisce distante dalla sua natura, ancora profondamente umana.

L’ esitazione e la fragilità hanno, come unico contraltare, la forte tensione mistica, che può essere solo umana, perché solo umana può essere la fiducia in un’entità superiore che possa scegliere per noi e decidere della nostra vita.

La comune condizione di “eletti”avvicina i due , li porta ad un dialogo danzato in cui si sostengono vicendevolmente e che si intuisce, in circostanze diverse, sarebbe potuto sfociare in una relazione più profonda e naturale. Non andrà così.

Sono chiamati ad un ruolo preciso ed arriva il momento di svolgerlo. Una sirena li richiama all’ordine e arriva il momento in cui tutte le incertezze devono cadere. Bruscamente la storia prende il sopravvento ed ecco comparire i simboli iconografici che fisseranno l’immagine dell’Annunciazione: il velo azzurro, il giglio, le ali dell’angelo. Si odono i canti liturgici della tradizione cattolica. Dai quadri rinascimentali che hanno ritratto l’Annunciazione un Gabriele ancora intimidito cerca di trarre spunto per una gestualità adeguata all’occasione. Ma le varie pose raffigurate nei vari quadri vengono imitate goffamente. Tra le diverse pose non una sembra essere adatta.

Inizia qui la dicotomia tra la persona reale e l’icona che, se per Gabriele rappresenta una frenetica rincorsa all’aspettativa altrui, per Maria diventa il totale annichilimento: sepolta dall’enorme abito rosa, abbandonata e ignorata finche non viene riportata fisicamente al centro della scena, rigida e attonita mentre Gabriele la sposta, la solleva, la pone su improvvisati altari. La naturalezza e l’umanità sono ormai perse. Rimane la corsa alla realizzazione di un progetto. Anche l ‘identità è andata perduta, diluita al punto da restare un’eco lontanissima nella memoria dello spettatore.

La maternità, annunciata da Gabriele, restituisce infine coscienza e umanità a Maria, ormai libera dai pesanti paramenti, libera di poter essere di nuovo donna, ma libera anche definitivamente dalla spontanea religiosità dell’inizio, nella metamorfosi da donna a simbolo.

L’intero spettacolo può essere visto anche come una metafora della vita stessa: da una adolescenziale purezza, carica però di passioni e aspettative, all’impazienza di realizzazione nella vita adulta.

Come nella vita il percorso che porta a questa realizzazione è spesso esitante, incerto e ci pone di fronte a scelte inaspettate. Ecco allora la difficoltà di essere “all’altezza della situazione”, condizione che può renderci insicuri e insoddisfatti fino a spegnere completamente la nostra personalità, a spegnere il fuoco di quelle passioni che hanno sostenuto il percorso compreso tra lo sboccio dell’adolescenza e il traguardo della maturità.

Rimane l’impressione di uno spettacolo che spicca per delicatezza, ben danzato e interpretato. Entrambi i protagonisti hanno la capacità di arrivare agli spettatori in un contatto diretto, anche grazie agli spazi raccolti del teatro.

Notevole la morbidezza e la qualità del movimento di Claudia Rossi Valli, capace di dare corpo ad una Maria terrena e sensuale, senza allo stesso tempo stravolgere l’idea di purezza che questo personaggio possiede nell’immaginario comune.

Mary’s Bath è l’ultimo appuntamento nell’ambito della rassegna “Dance&Move”,realizzata da Theama Teatro, con il contributo del Circuito Regionale Arteven.

Fa inoltre parte della rassegna “Corpo a Corpo”,progetto che coinvolge tre teatri vicentini (Bixio ,Astra e Comunale) per la valorizzazione della danza contemporanea e del teatro fisico e che propone, come prossimo appuntamento, Marzo di Dewei Dell ,Venerdì 11 Marzo,presso il Teatro Astra di Vicenza.

Marco Fagioli

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