“ LA STESSA SOSTANZA DEI SOGNI” APRE LA SEZIONE DANZA DELL’ESTATE TEATRALE VERONESE. REPOR

Ersiliadanza, coreografia e regia di Laura Corradi, ha aperto la sezione danza dell’Estate Teatrale Veronese in Corte Mercato Vecchio con “La stessa sostanza dei sogni”, una produzione della stessa Estate Veronese offerta in prima nazionale.

L’ispirazione è prettamente shakespeariana, con particolare riferimento (alluso anche nella citazione del titolo) a “La Tempesta”, considerato il dramma più “filosofico” e iniziatico del repertorio del Bardo. Ma le elaborazioni coreutiche della Corradi non si fermano ad esso, allargandosi ad altri testi del drammaturgo inglese nei quali si evidenziano le grandi passioni della vita – odio, brama di potere, stupidità, rancore, gelosia, avidità, paura; incapacità di distinguere il bene dal male, il vero dal falso, la realtà dai fantasmi – quali, in particolare, Otello e Amleto, facendo di questo interessante spettacolo — a nostro avviso, il migliore finora firmato dalla coreografa e regista veronese — un onirico omaggio al genio creativo di Shakespeare e, ad un tempo, una disincantata personale riflessione sulla vita.

La narrazione — perché di narrazione si tratta – si focalizza, più che sulle vicende, sui moti dell’animo. Quelli dai quali scaturiranno le vicende, e che fanno dell’esistere un eterno affanno. Un’eterna lotta, su una piccola zattera, in una tempesta che mai non cessa. Dove, in un indistinto veglia/sonno, tutti si agitano, consumando sulla effimera scena del mondo il breve tempo concesso a ciascuno, tra inutili rumori e furori che in realtà non significano nulla.

L’espressione corporea, ora scattosa e acrobatica, ora sinuosa come onde marine (ricorrente il tema dell’acqua), ora plasticamente “barocca” nelle sue opposte simmetrie, gioca più con la gravità al suolo che non in aerea elevazione. Impegnando i bravi ed espressivi danzatori (Marco Mantovani, Alberto Munarin e Midori Watanabe) in un pressoché ininterrotto passo a tre dagli intrecci complessi e inusuali, talora anche inserendo oggetti emblematici e facendo uso della voce, sia dei danzatori che fuori campo

L’ottima scelta musicale (i brani sono di Max Richter, TSFH, Antonjo Vivaldi, Jed kurzel, Les Tambours du Bronx, Olafur Arnalds, Yann Tiersen) e le evocative luci di Alberta Finocchiaro, che cura anche l’allestimento scenico, contribuiscono non poco a creare le atmosfere volute, con picchi di coinvolgimento (nonostante qualche prolissità) che non escludono echi vibratori danteschi o, specie nell’ossessivo e martellante finale, dionisiache pulsioni.

Ma, in fondo, che differenza fa?

Franca Barbuggiani

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