Per la sezione danza al Teatro Romano, l’Estate Teatrale Veronese ripropone, fino al 6 agosto, uno dei più celebrati spettacoli dei Momix, “Opus Cactus”, che proprio in riva all’Adige, quindici anni fa, veniva presentato in prima europea.
Chi scrive ebbe l’opportunità, nel 2001, di vedere quello spettacolo, e ricorda tutt’ora la suggestione della sua poesia venata di sottile humour e ironia intelligente, unitamente allo stupore per la rivelazione di un insospettato deserto (nella fattispecie, quello che negli States va dall’Arizona alla California) brulicante di vita, ricco di forme e di colori.
Nato per spazi al chiuso (di cui mantiene la cifra) su commissione dell’Arizona Ballet a Moses Pendleton come breve pièce, di aggiunta in aggiunta arrivò nella sua forma ottimale a New York nel febbraio del 2001 e, quindi, nell’estate, a Verona.
Stupì e affascinò con i suoi straordinari ginnasti-ballerini, che volano, saltano, rimbalzano, assemblano e scompongono forme fantastiche o di un realismo trasfigurato, sfidando ogni limite gravitazionale, sempre ai limiti della fisicità; giocando con gli oggetti – ventagli, bastoni… — e attraversando la scena come saette su invisibili skateboard; nell’illusionistica e metamorfica evocazione di un caleidoscopico e cangiante mondo di insetti, rettili, fiori, proiettati nella luce e nei colori del giorno, della notte, dell’alba e del tramonto del superaffollato deserto.
Ora ci arriva con l’aggiunta, in apertura, di un “aereo” passo a due dedicato a Giulietta e Romeo, creato apposta per Verona quale omaggio a Shakespeare nel quarto centenario della morte. Un capolavoro di acrobatica eleganza e classica bellezza, eseguito tra aria e terra da Rebecca Rassmussen e Steven Ezra, e impreziosito da un raffinato light design.
Il resto dello spettacolo conserva alcuni dei quadri originari con l’inserimento di altri di sapore prettamente circense, mentre mostra una certa insistenza su tematiche tribali, coinvolgenti anche il deserto australiano. Senza rinunciare, peraltro, alle sorprese e agli effetti speciali, nei quali le luci di Joshua Starbuck, John Finen III e lo stesso Pendleton hanno un ruolo “magico”. L’insieme risulta così, come sempre, di altissimo pregio ginnico-coreografico-visuale, grazie anche ai costumi di Phoebe Katzin, ma nella sua ecletticità, riflessa anche nella scelta musicale, perde un po’ del magico incanto che ce lo aveva fatto tanto amare nella versione originaria.
Franca Barbuggiani