Diversi minuti di applausi ad accogliere la messa in scena di “Liberata ”della Compagnia Teatro dell’Argine nella serata del 16 dicembre 2016 al Portland Teatro di Trento che, per quanto mi riguarda, avrebbero potuto continuare a lungo, nella riconoscenza di un “teatro” finalmente restituito alla propria funzione, con maestria e correttezza, doti non così frequenti oggi.
Perchè, tra un desiderio di emergere a tutti i costi dall’anonimato, (sembra che molti attori soffrano di narcisismo all’ultimo stadio, al punto di perdere di vista trama e contenuti ) obiettivo da perseguire con qualsiasi mezzo a propria disposizione, dalle sperimentazioni vicine al gossip e al limite del lecito ( per qualche critico la censura andrebbe abolita ma noi diciamo “parliamone”: non credo che nessuno spettatore sia contento di essere bersaglio ad esempio dell’urina di un attore, indipendentemente dalla sua interpretazione di “gesto artistico”, o testimone di violenze fisiche vere sul palco nella delirante convinzione di abbattere qualsiasi barriera tra finzione e realtà), fino all’inseguimento dello spettatore “ fuggitivo” con messe in scena di coinvolgimento sensoriale ad hoc, in una relazione “personale” da seduta psicoterapica, il teatro oggi sembra soffrire di diverse malattie, alcune delle quali in stretta relazione con il sempre più diffuso disinteresse degli spettatori.
Ma è un cane che si morde la coda, perchè se è vero che lo spettatore va educato al piacere del teatro, così come un cittadino al piacere della politica, i cattivi esempi non sono certo d’aiuto, spingendolo piuttosto verso l’allontanamento definitivo.
Così, quando uno spettacolo non usa alcun “mezzuccio” per emergere, se non gli strumenti di cui il teatro è già dotato: capacità interpretativa, spessore dei personaggi, controllo e sapiente utilizzo del corpo, attenzione ai dettagli, ritmo, sinergia in scena, un testo attuale intelligente ed essenziale, poggiato in questo caso sul dialetto emiliano romagnolo per restituirne appieno l’ambientazione, senza nessuna concessione al banale o al superfluo, un contenuto attuale di sapore civile che indaga le dinamiche di una famiglia non troppo lontana da noi, musiche azzeccate nella sottolineatura di atmosfere avvolgenti in un caleidoscopico gioco estetico emotivo, la magia si compie, complice anche l’intreccio di sollecitazioni dall’immaginario popolare sospeso tra il sacro e il profano.
E mentre alcuni critici gridano al capolavoro, inseguendo quella o altra sperimentazione che ha più il sapore dell’ultimo capo di moda del momento, io dico: non è il capolavoro, (anche se nella proliferazione di produzioni dubbie o monche potrebbe sembrare) è semplicemente la magia del teatro che finalmente si compie, grazie ad un lavoro fatto con amore e profondità, con sensibilità ed intelligenza, con padronanza di strumenti.
Quanto al rapporto con gli spettatori, cosa che sempre mi incuriosisce ed indago particolarmente negli spettacoli che si pongono fuori dai clichè, l’empatia è immediata. Il pubblico è direttamente coinvolto nella piece dagli attori stessi nell’unica funzione possibile: l’osservazione partecipata di ciò che accade, in un sottile gioco di pareti invisibili tra vizi privati e pubbliche virtù.
A “Liberata” della Compagnia Teatro dell’Argine, testo e regia di Nicola Bonazzi, con Micaela Casalboni, Giulia Franzaresi, Andrea Gadda e Frida Zerbinati, il mio grazie sincero.
Emanuela Dal Pozzo