Con scelta coraggiosa, davvero encomiabile, il Grande Teatro, rassegna di prosa organizzata dal Comune di Verona e dal Teatro Stabile del Veneto, propone, nella scaligera storica sala del Nuovo, due capolavori del teatro classico greco. Due capolavori assoluti della letteratura teatrale, entrambi offerti nella stessa serata, “Edipo Re” (tragedia che Aristotele indicò quale modello perfetto del genere) e “Edipo a Colono” (rappresentata postuma nel 401 a.C.) del tragediografo, poeta, musicista, attore e politico ateniese Sofocle (496-406 a.C.), in cartellone fino a domenica 22 gennaio.
Le due tragedie vengono riprese, a distanza di un ventennio dalla compagnia Mauri-Sturno che produce lo spettacolo con Fondazione Teatro della Toscana, ciascuna riletta, con diversa sensibilità, da un diverso regista.
Vittima degli dei e di un Fato infausto, Edipo affronta un percorso di sofferenza alla ricerca di sé e della verità, rivendicando con forza il diritto dell’Uomo alla piena responsabilità delle proprie azioni.
“Edipo Re”, nella rilettura di nevrotica estroversione e dal ritmo incalzante del regista Andrea Baracco, che evoca climi e adotta modi teatrali datati anni ’70 (l’acqua, per esempio, in scena come pioggia e nella piscina, che è occasione di effetti speciali oltre che, nello specifico, di ansia di purificazione) oscilla tra minimalismo e espressionismo, virando la sua natura tragica in dramma borghese a forti tinte. L’azione è collocata a ridosso delle corrusche e claustrofobiche (soltanto una porticina e una finestrella vengono frettolosamente aperte in esse una o due volte) mura metalliche di Tebe appestata, mentre l’uso inquietante della luce su di esse, radente e quasi riflessa a specchio o calata a ascio dall’alto in lampade che rimandano a polizieschi interrogatori, enfatizza e mette a nudo il tormento degli animi. Di protagonisti e coro (riassunto in un unico attore) nel quale il pubblico è “provocatoriamente” coinvolto dall’ingresso degli attori in scena dalla platea.
La scenografia, che coerentemente rende con enfasi il clima insano e maledetto della città, è ideata da Marta Crisolini Malatesta, come pure i plumbei costumi di foggia contemporanea, che pleonasticamente sottolineano l’immortale attualità di un testo il cui protagonista, generosamente interpretato da Roberto Sturno, è assurto addirittura a icona di una delle più forti pulsioni del nostro inconscio.
Di apollinea solarità e archeologico marmoreo candore, invece, l’allestimento, proiettato oltre il tempo e lo spazio, dell’“Edipo a Colono”, nella scenografia (pure di Marta Crisolini Malatesta) tutta bianchi blocchi squadrati, sui quali domina una sorta di trono dove si installerà, regale più che mai nella acquisita consapevolezza, il mendico vecchio e cieco Edipo.
Lo impersona magistralmente, con pathos e misura, Glauco Mauri (anche ieratico Tiresia nella concitata rilettura della tragedia precedente) il quale, inoltre, firma la stilizzata e moderna, composta e solenne, regia, evocativa di un mondo che amava esorcizzare e placare con catarsi liberatoria le più terribili pulsioni della psiche umana. Così, pure la recitazione mantiene la antica aulica dignità senza appesantirsi di accademia, e gli attori, in un contesto fortemente corale, interagiscono con raffinato gusto per la composizione statuaria.
Sempre appropriati, inoltre, in entrambe le parti dello spettacolo, gli interventi musicali, di varia ispirazione e dai volumi discreti, di Germano Mazzocchetti.
Applausi calorosi per tutti.
Franca Barbuggiani