“CINEMA CIELO” DI DANIO MANFREDINI ALLO STABILE DI BOLZANO

zamira 2_m_cinema cieloLo spettacolo di Danio Manfredini “Cinema Cielo” apre suggestivamente la rassegna “Altri percorsi” del Teatro Stabile di Bolzano, una riproposta dell’artista pluripremiato e molto noto nell’ambito del teatro di ricerca, spettacolo premio Ubu per la miglior regia 2004, che nonostante il tempo trascorso non tradisce segni di invecchiamento, anche se il tema degli esclusi e degli emarginati, abbondantemente presenti in diverse forme d’arte contemporanea, teatro compreso, non offrirebbe a prima vista eclatanti novità, temi peraltro centrali di Manfredini, testimonianza di serietà di un percorso che nel tempo lo ha visto riflettere oltre facili banalità.

Dipinti in Cinema Cielo come angeli caduti indifesi, vulnerabili nella propria celata sensibilità, in attesa di riconoscimento divino e di riscatto, o come pupazzi meccanici eterodiretti, scollegati dalla propria umanità, o come sfruttati disabili in cerca d’amore, o come emarginati in cerca di luoghi in cui trovare una propria identità, il mondo degli “esclusi” si appropria della sala di un cinema, nel quale durante le proiezioni, possono trovare un parziale riconoscimento del proprio “esistere” grazie a sporadici e superficiali controlli di cassiere rappresentative di un nord ricco di stereotipi e di efficienza.

Magistrale la regia di questo spettacolo capace di creare una moltitudine di suggestioni grazie agli intrecci che animano il piccolo cinema di provincia, nelle cui sedie sono perennemente seduti (e a disposizione degli attori) passivi manichini spettatori, a fare da perno alle scene hard che si compiono tra le corsie del cinema e che si indovinano proseguire nei bagni che poco hanno di emotivamente pregnante, se non soddisfazioni di bisogni primari conditi da trasgressioni più o meno accettabili in cambio di soldi e in cui il sesso maschile o femminile non gioca grande differenza, mentre storie personali si incontrano e si intrecciano.

La bellezza della regia sta nel tenere insieme le molteplici sfaccettature di questa complessa drammaturgia con sapiente dosaggio, con un contenuto che alterna intimismo e meccanicità, violenza e delicatezza, disincanto realista e poesia, fino ad arrivare a commoventi mescolanze tra sacro e profano; con la curiosa commistione di attori e manichini a fondere due aspetti interpretativi della realtà che si confondono e che si scambiano le parti ( manichini attivi e attori passivi); con la geniale intuizione di azioni sceniche che si svolgono altrove, dentro un sonoro altro, in una sovrapposizione di tempi e luoghi, tese a rintracciarne il significato piuttosto che la descrizione.cinema cielo_HIGH

Quanto alla complessità suggestiva del tutto, come non cogliere nella disposizione dei manichini tra le file di sedie del cinema un’allusione a “La classe morta” di Tadeusz Kantor, nei sonori, nelle immagini, ma anche nel personaggio di Divine l’opera di Jean Genet “Nostra Signora dei Fiori”, nel microcosmo di un cinema/ghetto la stigmatizzazione delle contraddizioni sociali contemporanee, conditi dalla scelta accattivante della colonna sonora di Marco Olivieri ricca di colori e di atmosfere contrastanti e dirompenti.

Ed è proprio grazie alla complessità ( qualità sempre più rara in teatro e non solo) che gioca ai rimandi ma che si avvale anche di un ampio spettro di colori e sfumature, di cambi, di sottolineature, di ripensamenti, di confronti, di ritmi, che lo spettacolo scorre senza noia e senza inciampi, lasciando quella libertà di scelta alla mente dello spettatore che personalmente considero uno dei regali più preziosi.

Ottima l’interpretazione di Danio Manfredini, Patrizia Aroldi, Vincenzo del Prete e Giuseppe Semeraro.

Visto l’8.2.2017

Emanuela Dal Pozzo

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