E’ iniziata a San Gimignano la quinta Edizione del Festival “Orizzonti Verticali- Arti sceniche in cantiere”, con la direzione artistica di Tuccio Guicciardini e Patrizia De Bari, che dal 5 al 9 luglio 2017 offrirà all’insegna dell’interdisciplinarietà delle arti una concatenazione di eventi che spazieranno dal teatro alla danza, dalle performances alla musica e alla letteratura.
Il progetto, a cura di Compagnia Giardino Chiuso e Fondazione Fabbrica Europa, è realizzato grazie al ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, Regione Toscana, Comune di San Gimignano e Comune di Poggibonsi (Siena).
A quest’ultimo il compito di aprire il Festival con l’incontro letterario Ri- generazioni : poeti che traducono poeti, conversazione reading con Vivian Lamarque e Valerio Magrelli, a cura dell’Associazione Culturale “La Scintilla”, al Cassero della Fortezza di Poggio Imperiale di Poggibonsi mercoledì 5 luglio alle ore 19,00.
Centrale in questo festival l’attenzione al confronto generazionale cui vengono dedicati appositi incontri coinvolgendo artisti e critici di diversa generazione, tema quanto mai attuale oggi nella carenza sempre più evidente di “ maestri” delle singole discipline e nello spesso mancato “passaggio di testimone” tra vecchie e nuove generazioni.
Ad uno sguardo più attento però, secondo il nostro parere, il Festival Orizzonti Verticali ha un’altra grande peculiarità, assente in altri Festival, che si muove in sintonia con quella precedente: una sala stampa dove i critici e i giornalisti delle diverse testate possono sedersi attorno allo stesso tavolo, usufruire dei mezzi tecnici di supporto disponibili e soprattutto interagire, discutere, confrontarsi, accalorarsi sui temi, i contenuti e gli stili degli spettacoli visti e talvolta ideare, tracciare e socializzare nuovi percorsi editoriali.
Parliamo con uno degli ideatori di questa interessante e certamente rara iniziativa: Fabrizio Calabrese, anche Ufficio stampa del Festival.
LA SALA STAMPA DEL FESTIVAL
Quando e come vi è venuta l’idea di creare questa sala stampa allargata?
In realtà tre anni fa, da quando cioè abbiamo avuto a disposizione del Festival un luogo che fungesse da Ufficio Stampa. L’idea è nata naturalmente allo staff organizzativo del festival . Ci piaceva l’idea di un luogo di lavoro e di socializzazione da condividere con quanti tra critici e giornalisti venivano invitati al Festival ed ha avuto da subito esito positivo.
Nel senso che tutti la usano o si è creato un filtro selettivo?
Tutti quelli che vengono la usano, sapendo che ci sono orari di apertura soprattutto il mattino quando c’è la necessità e la possibilità di rielaborare e pubblicare i testi e i contenuti delle recensioni degli spettacoli del giorno precedente, solitamente fissati con un calendario pomeridiano e serale.
Oggi diresti scelta più saggia o più pericolosa?
Certamente più saggia, anche se la pericolosità di questo modo inedito di lavorare si traduce in facili e possibili situazioni conflittuali che si vengono a creare. Ma i conflitti inevitabili tra diversità di vedute si traducono più facilmente in costruzione di rapporti piuttosto che in rotture inconciliabili.
In effetti non è così scontato che critici e giornalisti, spesso abituati ad un lavoro solitario, individuale, un po’ per la concentrazione che richiede, un po’ per abitudine di “firma”, abbiano il modo, il tempo e l’occasione di trovarsi a discutere. Cosa aggiungeresti o toglieresti oggi, dopo l’esperienza maturata in questi anni, a questo spazio?
Aggiungerei confort, magari creando angoli più comodi per la lettura dei quotidiani o potenziando un servizio bar che al momento non c’è.
INVERNO
Alcune note sullo spettacolo di danza “Inverno”, con musica originale suonata dal vivo da Julia kent, per la coreografia di Patrizia De Bari, la drammaturgia di Tuccio Guicciardini, elementi scenici e video pupillaquadra, luci Mario Mambro, in scena alle 22 alla Rocca di Montestaffoli di San Gimignano.
Una riflessione sullo scorrere del tempo ed un addentrarsi in modo introspettivo sui significati legati al gesto, questa nuova produzione della Compagnia Giardino Chiuso, in una ricerca parallela tra stagioni naturali e stagioni della vita, scandite da pause “forzate” ma necessarie, da attese e sospensioni, da contrapposizioni di visioni tra ciò che è e ciò che a breve sarà, di “luoghi nebbiosi dell’anima”, cita la presentazione.
Fluido e minimalista il bel lavoro dell’interprete Melissa Cosseta, accompagnato da una ricerca d’immagine video centrata su cromatismi essenziali, piccoli movimenti corali di una natura partecipe, in sinergia continua con gli interventi musicali di Julia Kent, sottolineature emotive e penetranti capaci di suggestionare l’azione scenica e di “colorare” gli umori invernali nella gamma delle riflessioni scaturite durante il precedente lavoro di ricerca.
“ Sono una perfezionista. A volte mi perdo nei dettagli, nelle stonature che trovo tra l’insieme e il singolo gesto e questo mi obbliga continuamente a rivedere, a ripensare, a volte mi chiedo se la mia sia un’ansia esagerata” mi confesserà poi Patrizia De Bari parlando di questo lavoro nel momento conviviale conclusivo capace di amalgamare artisti e critici, creando lo sfondo perfetto per “chiacchiere” informali mescolate a spunti di riflessione e ideazioni di nuovi percorsi.
Le chiedo quanto spazio dà all’improvvisazione e come concilia la propria idea coreografico/drammaturgica con la personalità dell’interprete. Mi dice che ci sono stati tempi dedicati esplicitamente all’improvvisazione per la conoscenza reciproca, che il lavoro svolto è un intreccio tra le due diverse sensibilità, la sua e quella della danzatrice e che tuttora avviene un dialogo continuo con le improvvisazioni musicali.
“Anche grazie a Julia Kent lo spettacolo cambia sempre e per me è una sorpresa continua. Percepisco a volte l’empatia tra improvvisazione musicale e interpretativa che si crea in scena, anche su partiture non fissate, che lasciano spazio ad una presenza scenica pregna di significati e di intensità.”
Le chiedo ancora se questo lavoro così minuziosamente introspettivo non sia troppo centrato sul sé, problema che mi trascino dal mondo del teatro contemporaneo, sempre più individualista ed eccentrico e divaghiamo su come poter socializzare tanti sé, in una prospettiva di rete comunicativa.
Qualcuno interviene apprezzando la linearità della messa in scena, l’immediatezza comunicativa della concatenazione delle scene, la semplicità del linguaggio adottato, non così frequente nei lavori artistici spesso ermetici e irti di concettualizzazioni difficili da decifrare.
Mi sorge spontanea la domanda: “ Stupire o sedurre?”
Sono scelte a monte, riflessioni sulle quali vale la pena di soffermarsi, input lanciati quasi casualmente, tra chi fa e chi osserva, registra, segnala, restituisce nessi e sensi, a testimonianza di un lavoro vivo, in crescita, così diverso dagli spettacoli sempre più “pacchetti preconfezionati” in cui tutto, a prescindere dalla qualità, ha una sua precisa collocazione immutabile e rispetto ai quali è preclusa ogni reale interazione tanto con la scena che con gli spettatori.
( Foto di Francesco Spagnuolo)
Emanuela Dal Pozzo