Inaugurare la tormentata stagione 2017 (ricordiamo che, fino a pochi mesi fa, non si sapeva assolutamente nulla della stessa a parte date e titoli) con un titolo come “Nabucco” non avrebbe dovuto rappresentare, di per sé, alcuna novità per il glorioso palcoscenico areniano in quanto la popolare opera verdiana risulta indubbiamente essere una tra le più rappresentate ed amate dagli appassionati e dai curiosi in particolare per quel “Va pensiero” diventato, ormai, parte pulsante del sentimento nazional-popolare, se la partitura non fosse stata adocchiata dal regista Arnaud Bernard ed inquadrata entro ciò che una certa tradizione ci ha tramandato. Ù
Dal ritratto leggendario di un Verdi (che lui stesso ci lascia) che, piagato dalla morte della moglie Margherita Barezzi, avrebbe ritrovato ispirazione e grinta, dal testo di Solera, infilatogli in tasca da Bartolomeo Merelli, il sensibile regista francese ritaglia ciò che serve per fare una produzione in stile Grand-Opera ma con ingredienti tratti dalla storia del nostro Risorgimento.
Ecco dunque che, mettendo alla prova l’artigianale ed unica professionalità dei laboratori scenotecnici areniani, Bernard trasferisce in arena (simbolo della nostra storia rinato a teatro di tradizione per l’opera ‘popolare’ dal 1913) il Teatro alla Scala di Milano, simbolo del melodramma in tutto il mondo.
Già all’ingresso nell’anfiteatro la scommessa sembra vinta in quanto l’impatto visivo ci mostra un teatro nel teatro che ci emozionava ricordandoci, in un secondo, tutta la nostra storia musicale. Il fatto poi che il regista abbia scelto di ambientare l’intero spettacolo a Milano durante le cinque giornate ed errori storici a parte (che si notano tuttavia come quelli nascosti tra le pieghe delle illustrate narrazioni dei sussidiari delle elementari) avviluppa e convince, pur non facendo dimenticare le molte incongruenze che da una simile lettura possono trapelare.
Ma, si sa, l’arena è l’arena e quando, oltre ai landò ed ai patrioti (artisticamente inquadrati) la Scala, ruotando, mostra se stessa attraverso una sala del Piermarini perfettamente ricostruita con viscontiana minuzia (impossibile non citare come fonte principale “Senso”) popolata da borghesi ed ufficiali intenti ad assistere ad una recita proprio di “Nabucco” ( ed il bis del “Va pensiero” partirà proprio da ‘quel’ loggione) la fascinazione risulta forte così come l’emozione.
Bastava poco, con una cornice (comunque la si voglia giudicare registicamente) costruita ed ideata con così tanta raffinatezza espressiva (in arena molto spesso vincente) per siglare con un successo pieno la serata; l’opera però (occorre ricordarlo) non è ‘anche’ musica e l’aspetto musicale di un’esecuzione non può mai essere sottovalutato.
Tanto infatti curata ed attenta appariva la cornice, quanto non di buona fattura risultava il dipinto.
Un cast sostanzialmente non idoneo (a parte poche eccezioni) a questa partitura si muoveva infatti in palcoscenico.
Il soprano Tatiana Melnychenko era impegnata in un ruolo, quello di Abigaille, che non metteva certo in evidenza le sue indubbie ed interessanti caratteristiche timbriche e vocali evidenziandone piuttosto i limiti e le imprecisioni tecniche che riguardavano in particolare il registro acuto che, com’è noto, in questo ruolo non risulta certo accessorio, così come il basso Stanislav Trofimov non conosceva la statura timbrica ed espressiva necessaria per interpretare l’imponente ruolo di Zaccaria. In questo ambito anche il sobrio e corretto Nabucco, impostato da un professionale George Gagnidze non conosceva la giusta statura teatrale e, nell’ambito di una sostanziale sobrietà, si muovevano pure l’Ismaele di Walter Fraccaro e la Fenena di Carmen Topciu.
Completavano il cast Paolo Antognetti (Abdallo), Romano Dal Zovo (Gran Sacerdote di Belo) e Madina Karbeli (Anna).
Sugli scudi il bravo Coro della Fondazione cui la direzione del M° Vito Lombardi trasmetteva giusta grinta ed espressività.
Alla guida dell’orchestra areniana, l’energico ed esperto polso del M° Daniel Oren non bastava a nobilitare un’esecuzione sostanzialmente priva di quella tinta e di quelle sfumature che ne caratterizzano la partitura.
Un’arena gremitissima suggellava una felice inaugurazione per questa nuova Stagione che dovrà fare del suo meglio per acquistare nuovo pubblico e fidelizzare quello storico; una scommessa forte, ma che può certo essere giocata e speriamo vinta da questo teatro, ma solo attraverso un percorso che lo porti alla riscoperta della sua identità più vera.
Verona, 23/06/2017
Silvia Campana