MADAMA BUTTERFLY ALL’ARENA DI VERONA. RECENSIONE

Butterffly arena 2Assai complessa e terribilmente inflazionata da una popolarità che negli anni si è spesso concentrata esclusivamente su ombrellini e occhi a mandorla, “Madama Butterfly” ha conosciuto una genesi travagliata che ne mette in evidenza la matrice prettamente teatrale ed impopolare. La versione definitiva ha in parte abbandonato questo taglio, abbinando alla ricchezza esotica della narrazione una forza emotiva di rara intensità che necessita però, per esprimere la sua più intima significante, di un’esecuzione perfettamente coesa alla sua struttura drammatica.

La regia che Franco Zeffirelli creò per l’Arena di Verona nel 2004 (ripresa poi nel 2006, 2010 e 2014) realizza, in mezzo al palcoscenico areniano, una vera e propria collina, popolata da una folla estremamente diversificata in cui trovano posto ogni sorta di caratteri, che si aprirà con l’entrata di Cio-Cio San rivelandone la casa.

L’aspetto marcatamente oleografico viene dunque a sovrapporsi prepotentemente a quello più intimo del dramma, soffocandolo in una selva di oggetti e di ricercati e variopinti costumi (Emi Wada). Non c’è spazio in palcoscenico per l’attesa e la solitudine di Ciò-Ciò-San perché ciò che cattura e satura l’occhio è l’avvicendarsi continuo di una folla di personaggi con una loro storia che ci allontanano sempre di più dal dramma della protagonista e dal suo minuscolo mondo (“noi siamo gente avvezza alle piccole cose”) creando una gigantografia a colori che sfuma i particolari per evidenziare solo i contorni e questa amatissima storia, per certi aspetti ancora attualissima, meriterebbe forse (anche in Arena) una chiave narrativa diversa, meno descrittiva e maggiormente empatica.

Il soprano Oksana Dyka possiede una vocalità particolare, la cui prima qualità non risulta essere la pastosità del timbro, ma una certa asprezza nell’accento e monotonia espressiva che, per un personaggio come quello di Butterfly, non può e non deve essere condonata.

Non è, infatti, l’aspetto prettamente vocale a deludere – l’artista è precisa – quanto quello teatrale, limite che viene fatalmente evidenziato soprattutto nel II e III Atto, dove prevale una mancanza di mobilità nel fraseggio a favore di una recitazione dominata da accenti forti e da una connotazione espressiva di stampo verista che poco ha da condividere con un personaggio che nell’infrangersi del suo personale “zoo di vetro” trova la sua tragedia.Butterfly arena

Marcello Giordani, impegnato nel ruolo di Pinkerton, univa alla sua consumata professionalità una qualità timbrica ancora ragguardevole per quanto, a tratti troppo ‘stirata’ in acuto e priva della consueta morbidezza e pastosità.

Bene sotto ogni profilo l’ottimo Alessandro Corbelli, impegnato nel ruolo di Sharpless che, sempre molto attento alla parola e all’azione scenica, donava una giusta caratterizzazione al ruolo, centrale per l’azione drammatica, del console, così come Silvia Beltrami che tratteggiava una Suzuki sostanzialmente corretta e vocalmente convincente.

Completavano il cast Francesco Pittari (Goro), Alice Marini (Kate), Nicolò Ceriani (Yamadori), Deyan Vatchkov (zio Bonzo), Marco Camastra (Commissario Imperiale), Dario Giorgelè (Ufficiale del registro), Tamta Tarieli (madre di Cio-Cio-San) e Marina Ogii (cugina di Cio-Cio-San).

Il maestro Jader Bignamini, dirigeva l’orchestra areniana con poca convinzione, con un risultato complessivo sostanzialmente monocorde e privo di una lettura omogenea e dinamicamente scolpita.

Ottimo il Coro della Fondazione diretto dal M° Vito Lombardi.

Arena non gremita ma pubblico soddisfatto per questa ‘premiére’ che speriamo, nel corso delle repliche, possa crescere in qualità ed espressività tanto vocale quanto scenica.

Verona, 08/07/2017

Silvia Campana

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