Una gran bella idea quella di inserire nel cartellone estivo areniano una serata insolita, in quanto la “zarzuela” è genere ‘di nicchia’ ed assai poco noto fuori dai confini iberici ed altrettanto felice farla eseguire ad un grande quale Placido Domingo che, proprio da quel genere, partì per affrontare la sua lunghissima e versatile carriera.
Diciamo subito che le attese sono state solo in parte soddisfatte e solamente dal grande artista che si è presentato all’appello preparatissimo ed in forma smagliante.
Il suo ‘excursus’ attraverso quella che è la musica della sua tradizione popolare, scorreva fluido, la voce ferma, il timbro morbido e teatrale che ne ha contraddistinto la carriera, la parola scolpita ed una ‘verve’ inossidabile che, quando occorre, cedeva il passo ad una straziante malinconia (“Luche la fe por el triunfo” da “Luisa Fernanda”) confermandoci ciò che già ben sapevamo e cioè che, a prescindere dalle sue discutibili scelte di repertorio recenti, Placido Domingo è e resta uno dei pilastri della moderna drammaturgia musicale e, ad ascoltarlo, regala ogni volta quelle emozioni che solo i grandi riescono veramente a trasmettere.
Purtroppo lo spettacolo non veicolava la stessa malia ma appariva come una patinata pubblicità per la promozione di un villaggio turistico spagnolo.
Non mancava nulla a parte l’anima della Spagna stessa: flamenco, cavallo bianco e fuochi d’artificio che si alternavano su di uno spazio scenico creato da Stefano Trespidi attraverso l’utilizzo di alcuni elementi scenici della zeffirelliana “Carmen” (per chi ne avesse sentito la mancanza).
Lunghi e numerosi cambi, al termine di ogni romanza, interrompevano di continuo il racconto musicale compromettendo la riuscita di uno spettacolo che, semplicemente ospitato sul nudo palcoscenico areniano, avrebbe indubbiamente potenziato il suo carisma.
Anche la scelta di microfonare solisti, orchestra e strumenti non è apparsa felice, soprattutto per il livello di amplificazione scelto.
Ad affiancare Domingo due giovani artisti quali il tenore Arturo Chacòn-Cruz ed il soprano Ana Marìa Martìnez svolgevano diligentemente il proprio ruolo anche se, com’è normale, i suoni e le timbriche venivano naturalmente appiattite dalla microfonazione e darne un giudizio corretto risulta dunque difficile.
La compagnia “Antonio Gades” eseguiva correttamente alcune danze che, a parte un paio di brani, del Flamenco condividevano solo la musica mentre l’orchestra areniana trovava giusto polso e vigore nella direzione dell’ottimo M°Jordi Bernàcer.
Un’arena gremitissima, davvero da tuffo al cuore, tributava autentiche ovazioni al suo beniamino che ringraziava commosso con alcuni bis, seguito dagli altri artisti, chiudendo poi con “Amor, vida de mi vida, que triste decirte adiòs” di Torroba, quale vero atto d’amore verso il suo pubblico.
Verona, 21/07/2017
Silvia Campana