Interessante ed irrinunciabile serata quella del 20 ottobre 2017 all’Auditorium di Loreto a Bergamo, con la messa in scena dello spettacolo “Ave Maria”dell’Odin Teatret , interpretato dall’attrice Julia Varley, per la drammaturgia e la regia di Eugenio Barba e a seguire l’ancor più pregno incontro con Eugenio Barba e Franco Ruffini “La necessità e il rischio: la lezione dell’Atelier di Bergamo sul Teatro di Gruppo (1977)”
Se infatti lo spettacolo ha rappresentato il frutto di una particolarissima modalità di lavoro, raffinata e oggi desueta, quale quella della scuola di questa Compagnia, espressione non solo di grande competenza tecnica nell’uso del corpo, della voce, degli oggetti, ma anche ricca di immaginazione, di sensibilità, di atmosfere, di giochi di equilibri, di traduzioni e trasposizioni sceniche frutto di analisi, riflessioni, interrogativi ( tutto quello che al teatro oggi manca, spesso in un urlato imposto, “che non tocca”), il successivo incontro ne ha ancor più chiarito la poetica e le intenzioni, ripercorrendo storicamente i punti salienti di quel quinquennio dal 1975 al 1980, destinato a cambiare parte della storia del teatro.
“Ave Maria” , produzione del 2012, è un omaggio all’attrice cilena Maria Cànepa , spentasi nel 2006, un’aggraziata danza con la morte, una morte a tratti amica, compagna, che si insinua nelle faccende quotidiane, che aleggia nell’aria, che si fa cullare. L’attrice non si vede mai in scena, né nel corpo né nel viso, eppure è sempre presente in palcoscenico nelle vesti di un personaggio surreale, con un teschio al posto della testa e poi velata. A tratti riemergono i ricordi della vita dell’artista, fino ad una sorta di liturgia finale accompagnata dall ‘Ave Maria di Schubert.
Dice Julia Varley nel testo “Teatro” di Eugenio Barba. “Il mio viso non si vede mai durante lo spettacolo. E’ la scelta di uno spettacolo che vuol essere una cerimonia, un segno di affetto per una persona lontana…… Come spesso accade nelle cerimonie per i trapassati, le fattezze dei celebranti vengono cancellate. Resta la figura, non la persona.”
Eppure, nonostante queste legittime motivazioni drammaturgiche, non possiamo non venire colpiti, noi spettatori, dall’assenza dell’attrice, aldilà del ruolo interpretato, dall’allontanamento esplicito dell’attenzione del pubblico su di sé, ancor più evidente finito lo spettacolo: il pubblico applaude e l’attrice non si presenta in scena a raccogliere gli applausi, al punto che qualcuno pensa che anche l’applauso sia un “di più”, per uno spettacolo così intimista e così lontano dalle luci della ribalta.
Julia Varley si dilegua nel buio e il silenzio cala sugli spettatori.
E ci piace pensare, vero o no, che questo silenzio sulla figura dell’interprete sia anche una stigmatizzazione di ciò che oggi è diventata buona parte del teatro per gli attori: un mezzo per apparire, per raccogliere consensi, per gratificare il proprio narcisismo.
L’incontro che segue ripercorre, attraverso il racconto partecipato dello storico teatrale Franco Ruffini, le tappe principali di quel quinquennio, tra il 1975 e il 1980, che ha segnato profondamente la storia del teatro e che ha visto l’apice proprio nel Festival del 1977 organizzato dal TTB a Bergamo, capace di raccogliere gruppi di giovani attori provenienti da diverse parti del mondo.
La capacità di Eugenio Barba, regista e fondatore dell’Odin Teatret è stata quella di aver saputo intercettare il desiderio di cambiamento di quello straordinario movimento, che sentiva con urgenza il bisogno di uscire dai canoni classici teatrali, dice Ruffini e che aveva come comune denominatore, sottolineerà poi Barba, un senso di disagio esistenziale legato alla negazione di libertà, un desiderio di “trovare casa” che nei diversi paesi di provenienza, segnati spesso da guerre e dittature, rimaneva insoddisfatto.
Nascerà così il Terzo Teatro o Teatro di Gruppo, destinato ad avere grande eco internazionale
Una testimonianza ricca di spunti e di sottolineature, con riflessioni allargate al presente e fatta ad un pubblico numeroso e principalmente giovane.
Emanuela Dal Pozzo