Correva l’anno 1962 e sul grande schermo usciva il film “Che fine ha fatto Baby Jane?”, con due straordinarie attrici entrate nel mito di Hollywood, Bette Davis e Joan Crawford.
A questo film ( ma c’è anche la memoria di un’altra pellicola cult della Mecca del cinema, “Viale del tramonto”) si ispira il testo “Sisters. Come stelle nel buio” di Igor Esposito che, fresco di debutto nazionale, arriva al Nuovo di Verona quale secondo appuntamento della rassegna di prosa “Il grande teatro” (giunta alla 32ma edizione) organizzata dal Comune scaligero e da Fondazione Atlantide-Teatro Nuovo di Verona.
Nel nostro caso, le mattatrici sulla scena sono due valide interpreti italiane dalla poliedrica esperienza attorale — dal teatro, al cinema, alla tv – Jaia Forte e Isabella Ferrari. La prima dal porgere più sanguigno ed estroverso, la seconda dall’approccio più stilizzato e di testa. Brave entrambe, anche se il confronto – inevitabile – con le colleghe d’Oltreoceano è di quelli che fan tremar le vene ai polsi; perfettamente a loro agio in una drammaturgia ispirata a tecniche cinematografiche che rendono il copione sostanzialmente una sceneggiatura.
E bravo anche il regista Valerio Binasco, che contiene lo spettacolo (prodotto da Nuovo Teatro) entro un’ora e venticinque minuti, senza intervallo e senza cadute di ritmo; abilmente sostenendo una performance di parola, robusta e fragile come una trina, su registri pop, come, del resto, suggerito dal linguaggio e dalle situazioni del testo. Grazie anche alle scene (di Carlo De Marino) e ai costumi (di Sandra Cardini); con le luci di Pasquale Mari e le musiche, di tensione e della memoria, di Arturo Annechino; e persino con l’uso nasale o acidulo delle voci.
Pennellando il tutto di ironia. Per un dramma che, oscillando tra odio e amore, nostalgia e amarezza, illusione e disperazione, lega indissolubilmente le due protagoniste — attrici e sorelle — nel loro inesorabile e squallido viale del tramonto.
Alla fine il pubblico applaude con cortesia. Adeguata accoglienza per una serata, a nostro avviso, confezionata con ottimo mestiere ma che, come si dice in gergo, “non passa”. Non cattura, cioè, appieno cuore e mente degli spettatori.
Franca Barbuggiani