Molte volte nei teatri di tradizione sembra che il repertorio classico del melodramma romantico rinasca o, per dir meglio, conosca un vigore ed una potenza il più delle volte tragicamente assente da molti Enti istituzionalmente maggiormente rilevanti.
Indubbiamente in alcune zone della nostra penisola il legame con il repertorio verdiano è maggiormente radicato, si potrebbe dire, anche se, oggi più che mai, questo ragionamento sembrerebbe parziale quanto arbitrario. Innegabile è certo il fatto che determinati titoli, in questo caso della trilogia popolare, esercitino su una parte del pubblico (e non parliamo di melomani o appassionati) sempre maggior curiosità. Non a caso i teatri sono pieni e non a caso le rappresentazioni riscuotono quasi sempre un successo tanto generalizzato quanto caldo ed appassionato.
Personalmente credo che la forza trascinante e magnetica di ogni partitura, naturalmente se sviluppata ed interpretata con intelligenza e teatralmente intesa con giusta attenzione drammaturgica, riesca a raggiungere il pubblico con tutta la forza che gli appartiene soprattutto in questi palcoscenici. Durante le pièce infatti il distacco platea-palco si avverte poco e l’impressione di far parte di uno spettacolo totale sembra avere il sopravvento.
Ottimo esempio ne è la produzione de “Il trovatore” presentato dalla Fondazione I Teatri al Teatro Valli di Reggio Emilia (allestimento della Fondazione Teatro Lirico G. Verdi di Trieste in coproduzione con Fondazione Teatro Comunale di Modena e Fondazione Teatro Verdi di Pisa) nella corrente Stagione Lirica 2017/2018 che trovava una sala gremita in ogni ordine di posti da un pubblico assai eterogeneo ed attento.
Lo spettacolo, presentato dal regista Stefano Vizioli, racconta il dramma con curata attenzione ai temi dominanti contenuti quali la notte, il fuoco così come una certa malìa sempre presente. D’effetto risulta in questo senso l’occhio che appare al termine del racconto di Ferrando, che si trasforma poi in luna nel quadro seguente, a sottintendere ciò che di impalpabile e tetro si rincorre.
Un ottimo gioco di masse ed una buona impostazione scenografica caratterizzano la lettura di Vizioli, studiata intorno a scarni elementi che si susseguono e che, in alcuni momenti, giungono ad una bella efficacia drammatica, grazie anche all’uso di una parete materica che permette il dipanarsi dell’azione con giusta coerenza narrativa.
Pur coinvolgente il tema delle armi, presente attraverso continui duelli e combattimenti in scena, rischia però di disperdersi nella sua sterile iterazione; così la scena I della Parte II viene banalizzata attraverso la visualizzazione di una ferocia già presente nella sola forza del racconto.
Indubbiamente impegnativo il ruolo di Manrico per il tenore Gianluca Terranova. Al professionista certo non difettano timbro proiettato e solare, morbidezza nel suono e giusta attenzione al fraseggio e ad una musicalità che questo personaggio mette spesso alla prova, sempre al confine tra profilo sentimentale ed eroico. La vocalità potrebbe essere quella giusta così come la dimensione teatrale ben centrata su accento e dizione, quello che lascia forse un po’ perplessi è il tipo di impostazione vocale che risulta a tratti un po’ troppo indietro a scapito dell’omogeneità e della pastosità del suono. Detto questo, Terranova risolve il ruolo con attenta professionalità e, specie nell’ultimo quadro, raggiunge momenti di bell’espansione emotiva e giusta e dominata teatralità.
Ottima la Leonora tratteggiata dal soprano Vittoria Yeo che, attraverso una vocalità sempre tecnicamente corretta e musicalmente precisa riusciva a ben esprimere l’arduo carattere verdiano pur ancora mancante forse di quella parola scenica sempre così centrale nelle opere del grande musicista che, specie nel duetto con il Conte di Luna e nel finale, avrebbe potuto apportare all’interpretazione dell’artista una maggior teatralità nell’ambito di una prestazione davvero apprezzabile.
Silvia Beltrami possiede una vocalità raffinata che usa con molta cura ed attenzione, ma il ruolo di Azucena non credo le si attagli compiutamente, non tanto per mancanze particolari da parte dell’artista quanto per la pesantezza e centralità del ruolo che esige sempre, oltre ad una vocalità corposa e ricca di armonici, una teatralità maggiormente sfaccettata e completa.
Sostanzialmente fuori ruolo il baritono Vittorio Vitelli quale Conte di Luna, non per una trascuratezza espressiva o musicale quanto per una vocalità ‘vilain’ che, tutta impostata su di un canto aperto, difficilmente può trovarsi a suo agio con la scrittura verdiana che necessita di un legato fluido ed un suono morbido e maggiormente espressivo.
Completavano il cast: Francesco Milanese (Ferrando), Simona di Capua (Ines), Simone di Giulio (Ruiz), Enrico Gaudino (un vecchio zingaro) e Gian Marco Avellino (un messo).
Dirigeva l’Orchestra dell’Opera Italiana il M° Andrea Battistoni con sufficiente cura ed attenzione agli svariati colori della partitura.
Buono il Coro Claudio Merulo di Reggio Emilia diretto dal M° Martino Faggiani.
Come già detto una sala gremita ed un pubblico eterogeneo ed entusiasta tributavano un vero successo allo spettacolo, salutando tutti gli interpreti ed il Direttore con numerosi applausi e chiamate.
Reggio Emilia, 29/10/2017
Silvia Campana