L’Alzheimer, un male che colpisce molte persone anche nel nostro paese. Un male che con la memoria distrugge affetti e legami e priva il soggetto del’autonomia. Una tragedia che, oltre al malato, coinvolge tutto il suo circostante: familiari e parenti in primis, che non sempre sono in grado di gestire al meglio la situazione.
Questo il tema dell’ottimo lavoro teatrale del francese Florian Zeller (“The Guardian”, nel 2016, lo definì entusiasticamente il più “eccitante” dei drammaturghi dei nostri giorni) significativamente titolato “Il padre”, vincitore di ben due Premi Molière e dato con grande successo non solo a Parigi (dove debuttò nel 2012) ma anche su altre importanti piazze internazionali come Londra e New York, giungendo in Italia, dopo essere passato per la Spagna ed aver trovato veste cinematografica (nel 2019 con il titolo “Florida).
La maestria di Zeller sta nell’aver reso con grande incisività – attraverso una drammaturgia che è una sorta di sequenza di flash narrativi, riproponenti le amnesie, gli scambi di persona, le crisi di identità, le allucinazioni, la ripetitività di dialoghi e situazioni – lo stato confusionale dell’anziano protagonista ammalato, Andrea, padre di Anna. Godendo sempre, in tale ruolo, di interpretazioni magistrali da parte di grandi attori ottuagenari o ultrasettantenni, in traduzioni (e sceneggiatura) di alto pregio. Nella attuale tournée italiana, prodotto da Goldenart Production, versione e adattamento di Piero Maccarinelli, che fa pure un ottimo lavoro come regista, è approdato al Teatro Nuovo di Verona, terzo appuntamento della Rassegna “Il grande teatro”. E ancora una volta è da segnalare la notevole interpretazione dell’attore protagonista nel ruolo principale, un Alessandro Haber in particolare stato di grazia che giganteggia – ma con elegante misura – su un team di colleghi, peraltro di tutto rispetto (David Sebasti, Daniela Scarlatti, Ilaria Genatiempo, Riccardo Floris) con prima inter pares la coinvolta e convincente Lucrezia Lante Della Rovere.
Ma è l’intero spettacolo che, a nostro avviso, funziona perfettamente. Con le scene (di Gianluca Amodio) che, in varie combinazioni e sempre più spoglie, fagocitano lo spettatore nell’allucinato e fluido mondo di Andrea; le appropriate musiche di Antonio Di Pofi; i costumi di Alessandro Iai e le luci di Umile Vainieri.
Applausi convinti e meritati.
Franca Barbuggiani