Nel prosieguo della stagione lirica 2017-2018, Fondazione Arena di Verona propone, dal 4 all’11 marzo nella sala del Teatro Filarmonico, “Manon Lescaut” di Giacomo Puccini. L’edizione riprende (tramite Marina Bianchi) quella ideata da Graham Vick per il veneziano Teatro La Fenice, e da questo prodotta insieme con Fondazione Arena, la quale la presentò al suo pubblico nel 2011.
Molto discussa all’epoca, ancor oggi non manca di suscitare perplessità per l’innovativa rilettura che ne fa il regista inglese rispetto al libretto tratto dal romanzo di Antoine Prévost, “Histoire du chevalier des Grieux e de Manon Lescaut”, e scritto a più mani, principalmente da Domenico Oliva e Luigi Illica, con vari interventi (di Marco Praga, Ruggero Leoncavallo, Giuseppe Adami e dello stesso Puccini e di Giulio Ricordi).
La bella Manon diviene una giovane escort che non disdegna droga e tatuaggi, assurgendo a didascalica icona per una improbabile lezione di morale per studenti di college, i quali, in rigorosa divisa d’ordinanza, ne osservano la tragica parabola come da una privilegiata postazione teatrale. Per noi, le riserve nascono soprattutto per la discrepanza di atmosfera che si evidenzia tra la fantasiosa crudezza dai risvolti spesso grotteschi della componente visiva dello spettacolo – dalla metateatralità del secondo atto, con quinte settecentesche e nudo alla Modigliani come sfondo, agli orsetti di pelouche di varia taglia e cigni volanti, del primo; alle ludiche e erotiche altalene, che si fanno ferrigni strumenti di costrizione e prigionia, analogamente alle metalliche crinoline delle prostitute in attesa dell’imbarco – e lo struggente romanticismo dal sensuale afflato melodico che caratterizza la partitura pucciniana. Nelle scene di Andrew Hays, le luci di Giuseppe Di Iorio, i costumi di Kimm Kovac e i movimenti mimici di Ron Howell (ripresi da Danilo Rubeca), con spunti, peraltro interessanti e di interna coerenza.
Sul podio, Francesco Ivan Ciampa penalizza il fascino della musica pucciniana imprimendo ritmi alquanto accelerati e volumi assordanti, appiattendo colori e timbri e spesso prevaricando le voci. Peccato, perché quando ciò non avviene, il direttore dimostra una pregevole sensibilità musicale, come ha dimostrato nella raffinata offerta del “preludio” al terzo atto.
Nella compagnia di canto, emerge Amarilli Nizza, convincente nel ruolo del titolo, da lei dominato con vocalità precisa e sicura, di ottima scuola, e notevoli qualità sceniche e attorali.
Sbiadito, invece, il Des Grieux di Gaston Rivero, privo di sfumature e impreciso nel canto, sforzato e piatto. A posto Giorgio Caoduro (Lescaut), Romano Dal Zovo (Geronte), Andrea Giovannini (Edmondo), con Giovanni Bellavia, Alessia Nadin, Bruno Lazzaretti, Alessandro Busi.
In crescendo la prestazione del Coro, preparato da Vito Lombardi.
Per la cronaca, aggiungeremo che la recita è stata ripetutamente disturbata dalle intemperanze di qualche elemento confuso tra il pubblico, sostanzialmente estraneo alla cultura della musica.
A parte questo e la lunghezza degli intervalli e delle pause per i cambi di scena che hanno suscitato qualche mugugno, pubblico soddisfatto e plaudente.
Visto l’8 marzo.
Franca Barbuggiani