Continua la ricerca di Danio Manfredini, pluripremiato, una delle voci artistiche più interessanti del teatro contemporaneo, sugli esclusi, sulla solitudine esistenziale, sui frammenti di vita di persone ai margini, nello spettacolo “Al presente”, di e con Danio Manfredini, per la produzione e riallestimento di La Corte Ospitale, in scena alla Fonderia Aperta Teatro di Verona il 25 marzo 2018 e proposto dall’ Associazione culturale EXP all’interno della Rassegna Are We Human.
Si riconosce la firma di Manfredini, nella sua regia sapiente capace di mescolare diversi codici linguistici, nella sua padronanza attoriale per l’utilizzo della voce, dello spazio, del corpo, nella sua presenza scenica con l’ausilio di oggetti, travestimenti e manichini, qui particolarmente sottolineata da una danza persistente che lascia margini all’inquietante e al grottesco.
Nè mancano nello spettacolo sottolineature del reale con idiomi tipici tanto italiani che stranieri, la cui drammaticità esistenziale sottesa, fatta di solitudini e di incapacità di interazione reale, sfocia in ironia e suscita qualche sorriso.
Eppure, nonostante lo spettacolo appaia pregno di scorci credibili attuali, come la realistica fotografia della giornata di un vecchio all’ospizio, o il femminicidio che si compie con disarmante naturalezza nella sala di una discoteca, di simboli altrettanto emblematici, come la sedia a rotelle che si trasforma in sedia elettrica, e di originali riflessioni pseudofilosofiche che ci raccontano il rapporto tra coscienza ed anima, non pare riesca a bucare la superficie, a catturare davvero.
Gli spettatori vengono coinvolti dal flusso continuo di immagini, dalle suggestioni musicali che qui, a differenza di altri spettacoli di questo eccelso artista, capace di dipingere nuovi mondi nell’abbraccio di linguaggi discordanti ed impattanti, parlano di per sé.
Ma soprattutto vengono accompagnati dai ritmi e dalla virtuosità del suo corpo scenico, dal minuzioso studio delle tensioni corporee, dalla ricerca delle forme che traducono gli squilibri psicofisici e psichiatrici, da quel gusto del dettaglio tipico di un artista abituato a lavorare in profondità, anche quando i contenuti, come in questo caso, sembrano muoversi su un continuum unico e rimanere in osservazione in superficie.
Sembrano, perchè ad un’analisi più attenta ci si chiede se l’artista , riflettendo sulla nostra contemporaneità, non volesse porre l’accento proprio su quel sottile spartiacque che sono le nostre connessioni di senso, saltate ed impazzite nei personaggi che prende ad esempio: cosa collega il pensiero all’azione, l’io al mondo, la psiche al corpo, la malattia alla realtà.
Un folto e motivato pubblico a raccogliere gli interessanti input di questo non facile spettacolo.
Emanuela Dal Pozzo