Alla luce degli attuali concetti di globalizzazione e integrazione, Roberto Zappalà, coreografo catanese di fama internazionale (impegnato e apprezzato anche nel mondo dell’arte figurativa e dell’editoria) ripropone una “interna” rilettura di un suo lavoro del 2013, “Anticorpi”, terzo titolo del progetto “Sudvirus” e prologo di “Transiti Humanitatis”, significativamente ribattezzandolo, nel 2017, “Patria”.
Con il nuovo titolo, il coeografo intende enfatizzare nell’ottica dell’appartenenza le situazioni sceniche e coreografiche già presenti nella creazione.
Così, nel sottofondo di musiche varie – da Bach a Herbert, da Beethoven a Paganini, a Vivaldi, a Haydn – e soprattutto di ossessivi e percussivi effetti sonori (di Salvo Noto) spiccano gli inni nazionali di Francia, Inghilterra e Italia. Ma su di essi ancor più domina il sovranazionale beethoveniano “Inno alla Gioia”, a esplicitare la valenza inclusiva e non di esclusione di cui, per Zappalà, il concetto di patria si carica. Ma, attenzione! In guardia da ogni campanilistico “particulare”, emblematicamente rappresentato da uno scioglilingua dialettale, ricorrente come un nefasto “refrain.”
L’alta dichiarazione di intenti, però, non riesce a veicolarsi attraverso il linguaggio del corpo (con apporti anche vocali) dei pur straordinari danzatori della Compagnia Zappalà Danza, da noi visti il 6 aprile al Teatro Camploy di Verona nell’ambito della rassegna “L’altro teatro”, 14ma edizione, organizzata dal Comune scaligero, con Arteven ed Ersilia Cooperativa, con il patrocinio della Regione Veneto e del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.
Il messaggio, infatti, come suol dirsi in gergo, non “passa”. Almeno secondo la nostra impressione e i commenti del pubblico colti alla fine dello spettacolo.
Resta – sia pur scevro di carica emozionale – il pregevole impegno creativo della coreografia (realizzata anche con il contributo degli stessi danzatori) dalla dinamica parossistica e dal gesto disarticolato, in sfida con ogni limite fisico corporeo. Schegge impazzite di un universo che, comunque, trova una sua interna coesa armonia.
Alquanto datato l’uso delle luci e la scelta dei costumi.
Franca Barbuggiani