Oleografica e fiabesca, sfavillante e dimessa, delicata e truculenta, ritorna per la quinta volta all’Arena di Verona, terzo titolo dell’86° Opera Festival, la pucciniana “Turandot” nell’allestimento creato da Franco Zeffirelli, nel 2010, appositamente per l’antico contenitore anfiteatrale veneto.
Ultima fatica operistica di Giacomo Puccini che, ormai malato, la lasciò incompiuta alla morte di Liù (fu rappresentata per la prima volta alla Scala, postuma, nel 1926, portata a termine da Franco Alfano che le conferì la veste musicale nella quale è tradizionalmente rappresentata) pur ispirata ad una fiaba (di Carlo Gozzi su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni) con tanto di happy ending, in realtà questo canto del cigno del Maestro lucchese si palesa ossessivamente dominato dal tema della morte: forse un inconscio presago bisogno di esorcizzarne la paura? E dal tema dell’amore. Non quello della romantica accoppiata “eros-thanatos”, ma da un amore malato: di gelo e vendetta, nella donna, dettato da spirito di scommessa spavalda e opportunistica, nell’uomo, protagonisti ufficiali della storia. Ma dall’amore donante, umile e immenso – motore e chiave di volta di tutta la vicenda – della piccola Liù, occhi di chi non vede, cuore di chi cuore non ha.
Questo ci è sembrato emergere chiaramente dall’allestimento di Zeffirelli, che separa nettamente il mondo reale — dell’abnegazione, del dolore e della pietà — da quello iconico, asettico e autoreferenziale del potere.
Aiutato dai preziosi ed eleganti costumi stilizzati di Emi Wada, dai leggiadri movimenti coreografici di Maria Grazia Garofoli e dall’appropriato lighting design di Paolo Mazzon.
Sul podio, Daniel Oren valorizza al meglio la partitura, esaltandone del pari contenuti drammatici e di intenso lirismo, con sensibile e acuta analisi stilistica e anagogica (magistrale l’offerta, in particolare, della struggente morte di Liù) oltre a tenere una ferrea conduzione di orchestra, coro, voci soliste e coreuti (Coordinatore del Ballo, Gaetano Petrosino).
Anna Pirozzi delinea una Turandot gelida e crudele quanto basta, dagli acuti taglienti ma anche capace di un canto scorrevole e timbrato.
Gregory Kunde, voce estesa anche se non dotata di grande peso drammatico e non sempre impeccabile nell’emissione, pennella di sfumature eroiche un Calaf disinvolto e convincente.
La coreana Vittoria Yeo è Liù di raro pregio, cesellata in ogni sfumatura vocale e attorale, sia nei momenti di alta tensione drammatica che di raccolto intimismo.
Bene, inoltre, il resto della compagnia, con Giorgio Giuseppini in bella evidenza quale Timur, dal canto intenso e timbrato; gli affiatati e precisi Ping (Federico Longhi), Pong (Francesco Pittari) e Pang (Marcello Nardis) dalle note comiche tinte di noir; e i corretti Antonello Ceron (Altum), Gianluca Breda (Mandarino) e Ugo Tarquini (Il Principe di Persia).
Ottimo il Coro della Fondazione preparato da Vito Lombardi e bene pure quello di Voci Bianche A.d’A.MUS. diretto da Marco Tonini.
Applausi scroscianti per tutti da parte del foltissimo pubblico.
Visto il 30 giugno.
Franca Barbuggiani