Già l’anno scorso, quando l’avevamo visto quale nuovo allestimento della stagione 2017 all’Arena di Verona, avevamo espresso delle perplessità sull’edizione del “Nabucco” verdiano, regia e costumi di Arnaud Bernard con le scene di Alessandro Camera.
Riproposta quest’anno (7 luglio – 18 agosto) nell’ambito dell’86° Opera Festival, le perplessità rimangono. Sul piano della resa acustica, per le voci in palcoscenico — spettacolarmente occupato dalla riproduzione del Teatro alla Scala di Milano, iconico sito cultuale, qui ora anche risorgimentale, della città lombarda – che, a seconda della posizione dei cantanti, ne distorce in parte la corretta percezione. Sulla scelta, un po’ macchinosa da decodificare per lo spettatore, che accosta in parallelo personaggi e vicende della schiavitù babilonese del popolo ebreo con quelle dell’occupazione asburgica del Lombardo-Veneto italiano, sfociate nelle eroiche “Cinque giornate di Milano” rievocate, per l’occasione, proprio intorno al teatro milanese. Con l’aggiunta della percezione, più lucida stavolta da parte nostra, che la virata in chiave soprattutto patriottica di Bernard stemperi fino a farla scomparire la componente spirituale e religiosa, fondamentale nel libretto di Temistocle Solera, e che la musica (non certo da annoverare tra i massimi capolavori del Maestro di Busseto) riesce comunque a veicolare, evidenziandone, invece, nel nostro caso, così almeno ci è sembrato, soprattutto i limiti di un genio promettente non ancora compiutamente formato. I momenti clou dell’opera, come il celeberrimo coro del “Va’ pensiero…” e della liberazione del popolo ebreo, con il mancato sacrificio di Fenena e la folgorazione dell’idolo di Baal, avulsi dal loro originale contesto, di cui rappresentano gli emozionanti e coinvolgenti climax, per divenire isolati episodi meta teatrali, scivolano via quasi “senza colpo ferire”, giusto per restare in metafora irredentista. Non abbiamo sentito nessuna richiesta “a furor di popolo” per ottenere il consueto bis (pur concesso, quasi “d’ufficio”) del “Va’ pensiero…”, mentre abbiamo notato, come l’anno scorso del resto, l’uscita anzi tempo di alcuni spettatori.
La direzione di Jordi Bernàcer non sempre coglie l’empito eroico e dolente dell’opera verdiana, ma mantiene quasi sempre l’ordine tra palcoscenico e golfo mistico.
Nabucco è il giovanissimo baritono mongolo Amartuvshin Enkhbat, dalla voce scorrevole e timbrata (ulteriormente migliorabile nella tecnica) e con belle potenzialità attorali, per un ruolo che potrebbe diventargli particolarmente congeniale. Luciano Ganci è impetuoso Ismaele dal canto lucente, e Géraldine Chauvet è Fenena corretta e dolce. Abigaille ha la voce importante di Susanna Branchini, dal forte temperamento di ruolo, e si fa apprezzare in crescendo.
Completano degnamente il cast Nicolò Ceriani (Il Gran Sacerdote di Belo), Roberto Covatta (Abdallo) e Elisabetta Zizzo (Anna).
Applausi cordiali.
Visto il 7 luglio
Franca Barbuggiani