Erano gli anni ’70 quando Paul Taylor, danzatore e coreografo sulla breccia dell’avanguardia fin dai primi anni ’50 (è del 1954 il nucleo originario di quella che diventerà la famosa Paul Taylor Dance Company, per il quale Taylor scriverà le sue prime sue coreografie, ancora ballerino solista nel gruppo di Martha Grahm e musa ispiratrice di Balanchine per un assolo a lui dedicato) creava “Cloven Kingdom” (1976).
Tra i temi ispiratori d Taylor, c’è il rapporto tra uomo e natura, l’indagine sulla essenza profonda dell’animo umano, l’amore e il sesso, i momenti clou della storia della sua nazione…, espressi in uno stile irriverente e iconoclasta, che sa però anche lasciare spazio a componenti romantiche e divertenti.
“Cloven Kingdom”, la coreografia con cui al Teatro Romano si è aperto l’omaggio che l’Estate Teatrale Veronese ha riservato alla Paul Taylor Dance Company (17-18 agosto) è innervata soprattutto di iconoclastia. Un’iconoclastia graffiante e impietosa verso una umanità apparentemente perbene, in costumi rigorosamente bon ton (frac, per gli uomini; abito lungo, per le signore) tra sofisticate eleganze formali che celano, in realtà, una natura animalesca violenta, camuffatamente mite, eccessiva, assemblata in grovigli corporei grotteschi. Ma anche venata di humour e ironia (quegli improbabili copricapi tecnologici e avveniristici, disumanizzanti ma anche catturanti e riflettenti luce) nei confronti di stilemi del passato, come sottolinea anche l’alternanza di musiche di un tempo e di autori d’ oggi, quali Angelo Corelli, Henry Cowell e Malloy Miller.
Un genere di iconoclastia che, forse, nel 2018 può sembrare un po’ datata, ma che resta, comunque, una importante testimonianza dei fermenti e degli umori che animavano gli ambienti artistici più di punta dell’epoca.
Di circa una ventina d’anni più tardi è “Piazzolla Caldera” (1997) su musiche di Astor Piazzolla e Jerzy Peterburshsky, seconda creazione della trilogia dedicata a Paul Taylor.
Stavolta gli strali della dissacrazione sono puntati sul tango e l’umanità che vi gravita attorno. Secondo Taylor, un mondo sostanzialmente di predatori sessuali, in tutte le sue variegate declinazioni. I modi sono fortemente acrobatici, il clima ammiccante e lascivo, nella “milonga” allusa dalle lampade piatte pendenti dall’alto e delimitata da un emblematico fondale rosso.
Infine, molto poetica ci è sembrata la coreografia che ha concluso in bellezza lo spettacolo, “Promethean Fire”.
Creata nel 2002 su commissione dell’American Dance Festival all’indomani dell’11 settembre, in realtà, il lavoro va oltre lo specifico tragico evento che lo ha motivato, per allargarsi a una visione più universale, in cui lo spirito umano lotta e resiste alle avversità, scoprendo i valori della solidarietà e dimensioni oltre il contingente.
Il tutto (Balanchine insegna, anche se Taylor non si ferma al solo aspetto tecnico-formale) in una sintassi totalmente compenetrata con la struttura musicale dei brani bachiani scelti (“Toccata e fuga in re minore”, “Preludio in mi bemolle minore” e “Preludio corale BWV 680”) che nella loro sublime rimuginante ripetitività assurgono a metafora di indomita caparbietà a esistere e non demordere.
Pubblico, anche se non molto numeroso, entusiasticamente plaudente.
Visto il 17 agosto
Franca Barbuggiani