LICIA LANERA CON “THE BLACK’S TALES TOUR” AL TEATRO LABORATORIO DI VERONA. RECENSIONE E ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL TEATRO CONTEMPORANEO.

Licia-LaneraTutto esaurito al Teatro Laboratorio di Verona sabato 17 novembre per lo spettacolo “The black’s tales tour” , all’interno della 50a stagione 2018/19 promossa dal Teatro Scientifico di Verona, di e con Licia Lanera, produzione Fibre Parallele, coproduzione CoeMA Soc.Coop. Costing e Management e con il sostegno di Residenza Idra e Teatro Akropolis e di Contemporanea Festival/Teatro Metastasio: un viaggio tra le fiabe classiche più note, da Cenerentola a Biancaneve, dalla Sirenetta alle Scarpette rosse, un lungo monologo che indugia, non senza un certo compiacimento, sugli aspetti macabri e raccapriccianti cui le stesse storie alludono, facendo emergere dai testi la loro parte più “nera”.

Il personaggio/pretesto che racconta in versione dark, stivali alti neri e body nero, in primo piano e in centro scena, con microfono e su piedistallo ( mollerà solo in finale la propria posizione cercando un rapporto con il pubblico) accompagnata da musica elettronica e da abbondanti getti di fumo, emerge da notti insonni ( e questo è l’unico dato che conosciamo della sua storia) e per questa ragione nella propria mente le fiabe si interesecano tra loro, si mescolano ad altre immagini sospese tra il reale e l’onirico.

La performance è interamente affidata alle capacità vocali e interpretative dell’attrice, agli effetti sonori che è capace di creare anche con l’ausilio di mezzi tecnologici, ma soprattutto ad uno “studio” nel dettaglio della parola e del suo suono, ad una ricerca del ritmo, ad un dialogo interesssante con il proprio corpo, nel tentativo di rendere costantemente viva l’attenzione dello spettatore, perchè la chiave di lettura, svelata da subito, non offre sorprese, la drammaturgia è in buona parte già nota, la scena non offre cambi né movimento e tutto il lungo monologo si regge sulla sua duttilità vocale, sulla sua capacità di ritagliare i dettagli, sottolineati anche dall’ottimo disegno luci ( Martin Palma) e dall’ efficace e suggestivo accompagnamento musicale (Tommaso Qzerty Danisi) che accompagna la ripetitività ossessiva dei fantasmi della mente della protagonista.

Eppure, nonostante l’indubbia capacità della Lanera di prendere e tenere la scena, lo spettacolo non ci convince. Non ci pare aggiungere nulla di nuovo o rilevante al già noto, in merito ad una drammaturgia in buona parte prevedibile, peraltro dal nostro punto di vista troppo lunga e che in alcuni momenti tende ad annoiare, ma soprattutto ci sembra che si condensi e rimanga intrappolato in un ego incapace di andare altrove, di imboccare una direzione, sia all’interno di sé ( ci sembra che rimanga a giocare in superficie seppure con grande abilità) che all’esterno ( ci sembra che non abbia reali interlocutori), sospeso tra lo psicodramma e il puro gioco teatrale, la cui “finzione” viene talvolta smascherata soprattutto in finale.

E ci chiediamo se questo vuoto, in cui la protagonista fluttuando vive, senza storia, senza identità, senza prospettive, senza direzioni, sia allusivo ad un vuoto più ampio sociale e teatrale, incapace di trascendere il momento presente, un teatro incapace di raccontare “storie”, immerso in tanti ego monologanti, chiusi nei propri confini incomunicativi, più tesi a scandagliare il già noto e spesso a stupire lanciandosi in esperimenti, virtuosismi e raffinatezze stilistiche, certamente accattivanti e capaci di conquistare un pubblico più immediatamente coinvolto dal “ che brava” piuttosto che dal farsi domande sui contenuti. Perchè, in questo caso di spettacolo, se la particolare angolazione dalla quale vengono riviste le fiabe rimandano al disincanto adulto verso una realtà crudele, questa sembra rimanere più un’intuizione ricorrente dal sapore ammiccante, che un’analisi più profonda e che nulla aggiunge a ciò che già si sa.

In sintesi brava la Lanera sul piano attoriale ma ci sembra abbia imboccato una strada a senso unico, ripiegata verso un io ipervalutato e narcisista, come è prassi o forse “moda” di molti attori oggi, complice anche certa critica generosa su questo versante, una critica che invita ad emergere personalmente per tentare la scalata ai premi del tutto esaurito, così diversa dall’idea di un teatro collocato all’interno di una rete di relazioni sociali, non solo non avulso dal contesto ma con capacità di ideazione e di lettura propositiva del presente: sappiamo tutti che viviamo in una società disgregata, individualista, fortemente egocentrica, autodistruttiva, misogina, violenta, menefreghista e nello specifico egoista, vanitosa ed invidiosa e non è più necessario continuare a dichiararlo negli spettacoli, che alla fine sembrano solo veicolare consensi piuttosto che essere strumenti di riflessione.

Poi certamente le scelte artistiche dei singoli attori e la loro ricerca personale in chiave espressiva va rispettata, soprattutto quando, come in questo caso, appare rigorosa, ma il mezzo non è il fine e riteniamo doveroso ogni tanto ricordarlo, sempre noi che amiamo pensare al teatro come un linguaggio rivolto allo spettatore più che all’attore, anche quando viene definito “teatro di ricerca”, (quasi una sorta di contenitore dove ci sta tutto ed è impossibile sbagliare o una sorta di work in progress che può eludere qualsiasi confine) e anche quando constatiamo purtroppo che oggi in teatro sembra vincere il “come” piuttosto che il “perchè”, la fruizione consumata immediatamente, piuttosto che la riflessione oltre la forma, soprattutto quando la forma è efficace e tende a coincidere con la sostanza.

Ringraziamo Licia Lanera che con il suo spettacolo ci ha permesso di parlare del teatro oggi, secondo il nostro parere, e che ci ha fatto riflettere ed interrogare proprio su quelle direzioni che sembrano assenti o confuse o indifferenti per la protagonista.

Sinceri apprezzamenti del pubblico presente e lunghi applausi meritati all’interprete.

Emanuela Dal Pozzo

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