IL FESTIVAL
Giovedì 12 settembre si è aperto a Rovigo il Festival Opera Prima 2019, un festival che almeno nelle premesse vuole essere un ponte tra le generazioni. Non è certamente l’unico festival che si interroga sul confronto, dialogo, scontro tra generazioni e sul passaggio di testimone tra i riconosciuti maestri del passato destinati a scomparire e un “nuovo teatro” spesso allergico o impermeabile a qualsiasi dettame di altrui esperienza.
Il Teatro del Lemming, che cura la regia artistica del Festival, ne focalizza l’attenzione sul binomio “eredità” e “tradimento” e per meglio sottolinearlo ha anche quest’anno invitato le quattro compagnie storiche presenti: Teatro del Lemming. Teatro delle Ariette, Michela Lucenti/Balletto Civile, Teatro Valdoca/Mariangela Gualtieri a formulare una rosa di nomi di giovani compagnie promettenti tra le quali individuare i prescelti presenti al festival.
Ha contemporaneamente indetto un Bando d’Invito rivolto a giovani gruppi italiani ed europei tra i quali ha individuato giovani formazioni promettenti.
Il festival si è aperto quest’anno con una Chiamata Pubblica per i Cinque Sensi dell’Attore in uno spazio pubblico non teatrale: una sorta di dimostrazione del lavoro sull’attore che caratterizza la poetica del Teatro del Lemming, rivolta a tutti i cittadini curiosi di iscriversi: una gentile provocazione alla città di Rovigo, ovattata nella propria abitudinaria quiete come buona parte delle piccole province italiane.
Proposta che ci sembra avere parzialmente funzionato, almeno nell’obbiettivo della visibilità, per gli improvvisati e incuriositi spettatori che hanno assistito all’allenamento nel parco e nella piazza: un lavoro centrato sulla relazione e sul sé, sul difficile equilibrio tra preservazione della propria individualità e necessità di adattamento all’ambiente, un gioco tra forma ed elemento , tra Apollo e Dioniso, attuato in coppia e sotto le indicazioni guida di Massimo Munaro, che oltre ad esplicitare il senso degli esercizi si è avvalso dei personaggi Shakespeariani e della mitologia greca.
Un lavoro delicato, pur agito all’interno di un contesto teatrale, cui i partecipanti non si sono sottratti, che toccando corde intime, memorie e sentimenti personali avrebbe necessità di protezione e che in questo primo approccio pubblico non poteva essere che un assaggio giocoso illuminante circa i successivi sviluppi possibili, a testimonianza che il mestiere dell’attore è difficile e che richiede ben più dell’apprendimento delle tecniche e dei linguaggi teatrali più o meno sofisticati.
Un richiamo al ritorno dei linguaggi base teatrali, ad una più intima comunicazione con il sé e con l’altro, concepita come conditio sine qua non dalla quale partire per poter costruire il proprio percorso teatrale.
Allargando lo sguardo alla città, agli abitanti, agli spettatori, anche un modo oggi per vincere quello stato di apatia, di solitudine, di chiusura, di demotivazione alla conoscenza dell’altro, che si è intrecciato con un centro città attraversato da eventi teatrali partecipati dagli stessi cittadini, come la sfilata di La Nelken Line di Pina Bausch condotta da Marigia Maggipinto e l’installazione Soggetti Comuni di Momec_Memora in Movimento nel palazzo della Gran Guardia di Rovigo che ha ospitato oggetti e testimonianze dei cittadini a disposizione di tutti inn un percorso narrativo di memoria condivisa.
Sembra essere proprio questo invito alla comunicazione e alla condivisione il leit motiv che attraversa il Festival quest’anno e che accomuna molte delle proposte presentate, anche sotto forma di spettacolo, che, indipendentemente dalla riuscita artistica di ogni singolo progetto ,convogliano la propria energia in direzione di un’apertura e di un’accoglienza. E’ il caso di Angst Vor Der Angst di Welcome Project_The Foreigner ‘s Theatre, di Q&A The 36 questions di Racher Erdos, di Attorno ad un tavolo del Teatro delle Ariette.
Altre proposte si sono interrogate, in dialogo empatico con lo spettatore, sul rapporto di coppia e l’amore, come L’amore ist nicht une chose for everybody del Collettivo Treppenwitz, o sull’arte e la creatività come il Concerto Fisico di Michela Lucenti/Balletto Civile.
Infine si sono proposti spettacoli più compiutamente teatrali come Caligola- Assolo 1 di Bernardo Casertano- Gianni di Caroline Baglioni/Michelangelo Bellani- Famiglia di Norberto Presta capaci di rielaborare i temi svolti con compositi linguaggi per scavare nell’animo umano, in particolare investigando quel senso di perdita, legato ai temi ricorrenti della morte e dell’abbandono, che non possono non diventare simbolici di un “perdersi” per “ritrovarsi” nel gioco continuo di disequilibri che appartengono ad un percorso di ricerca teatrale.
GLI SPETTACOLI
Angst Vor Der Angst di Welcome Project_The Foreigner ‘s Theatre, segnalato dal Teatro del Lemming, affronta il tema della paura, individuale e collettiva, in una serie di flash/input che spaziano dalle fiabe alle dichiarazioni d’intenti degli uomini politicamente influenti, dalla crudeltà dell’uomo perpetrata contro la natura all’irrazionale paura del diverso che genera pregiudizio.
Rielaborazione di una prima bozza di studio dell’anno precedente lo spettacolo secondo noi ha il limite non solo della frammentarietà, peraltro scelta dichiarata, ma anche da un lato di una eterogeneità di stili che contribuiscono a sottolinearne la disorganicità e dall’altro l’assenza di una rielaborazione più profonda e matura dei temi affrontati. Il risultato ci sembra essere, per l’accostamento delle azioni proposte di maggiore o minore intensità, e a tratti didascaliche, più una dichiarazione d’intenti atta a veicolare consenso, che nulla di nuovo aggiunge a già noto, che una drammaturgia capace di approfondire in chiave personale i tanti troppi temi proposti.
Q&A The 36 questions di Racher Erdos, spettacolo vincitore di Bando, propone agli spettatori 36 domande ritenute “una via per abbattere le barriere ed arrivare a conoscere l’individuo”. La scelta delle domande si deve allo psicologo Arthur Aron che le raggruppò nel ’77.
Anche se sotto forma di spettacolo questa proposta ci è parsa più avere il sapore della provocazione che si insinua tra la continua attuale ricerca di connessioni e la contemporanea crescita dell’incomprensione e dell’intolleranza, perchè chiaramente l’intimità individuale che le 36 domande vanno a scoprire non può trovare spazio in un luogo pubblico tra spettatori sconosciuti, se non falsando la sincerità della comunicazione. E’ risaputo che parlare di se stessi lega profondamente all’altro ma sarebbe necessario creare le condizioni perchè questo naturalmente avvenga invece che imporre forzatamente un clichè quale ricetta magica per la soluzione dei problemi.
Attorno ad un tavolo del Teatro delle Ariette potrebbe essere una sorta di manifesto della Compagnia, i cui spettacoli ruotano spesso intorno alla cucina, luogo di mediazione tra il teatro e l’azienda agricola che conducono: 30 invitati intorno ad un tavolo che durante il pranzo offerto assistono al racconto delle esperienze di vita dei protagonisti, alle loro inquietudini, ai problemi che si trovano ad affrontare nella vita quotidiana. La specificità della Compagnia sta proprio nell’invenzione di questo format che se da un lato riconduce il teatro ad una gestualità quotidiana intrisa di cultura contadina, senza però tradire le potenzialità espressive insite nel linguaggio teatrale ( anche in questo spettacolo gli attori si trasformano e interpretano altri sé), dall’altro diventa simbolo di accoglienza, ottimo veicolo di comunicazione nell’interrogarsi su chi siamo e dove andiamo, empatia con lo spettatore, legame con il territorio.
L’amore ist nicht une chose for everybody del Collettivo Treppenwitz, spettacolo vincitore del Bando, è un apprezzabile tentativo di una giovane compagnia d’interrogarsi sull’amore e il rapporto di coppia, superando i confini nazionali ed esplorando diverse opinioni, stati d’animo, esperienze, anche avvalendosi di registrazioni video quali documenti sui quali riflettere e cercando un’interazione reale con il pubblico chiamato in causa ad argomentare e commentare. Uno spettacolo convincente non solo nelle argomentazioni affrontate ma anche nella originalità delle modalità espressive scelte: chiare, efficaci e ben condotte. Rimangono inquietanti interrogativi su giovani generazioni allo sbando, orfani di punti di riferimento rispetto ai quali le generazioni precedenti dovrebbero riflettere.
Concerto Fisico di Michela Lucenti/Balletto Civile è un’ ottima performance di un’artista a tutto tondo, ballerina, cantante ed attrice, che in scena si misura ed esplora lo spazio in una partitura fisica e vocale, ricca di talento ed energia. Il filo conduttore sembra però sfuggire allo spettatore abbagliato dalla versatilità dell’artista che spiega di ripercorerre e ridisegnare in scena la storia di Balletto Civile fondata durante una lunga residenza all’interno dell’ex Ospedale Psichiatrico di Udine.
Caligola- Assolo 1 di Bernardo Casertano, spettacolo vincitore di Bando, una delle migliori prove attorali del Festival che l’attore attraversa con grande padronanza fisica e vocale e di aderenza ad una verità scenica non sempre facile da trovare in teatro. L’attore crea più personaggi, si sdoppia esplorando le sonorità del linguaggio napoletano, il maschile e il femminile, si denuda fino ad arrivare a momenti di commovente lirismo, supportato da un’efficace regia essenziale site specific, fatta di luci ed ombre e rari oggetti di scena.
Gianni di Caroline Baglioni/Michelangelo Bellani, spettacolo proposto dal Teatro delle Ariette, è un’ altra bella prova d’attrice centrata sul tema della perdita e della memoria ( spettacolo già recensito su Traiettorie )
Famiglia di Norberto Presta, spettacolo per un pubblico ridotto condotto in uno spazio non convenzionale quale un appartamento privato di Rovigo e pensato come un teatro d’attore in un rapporto privilegiato ed empatico con lo spettatore. L’attore impersona una donna che accoglie i visitatori a seguito di un funerale. E’ rimasta sola. Non le restano che i ricordi e i rimpianti nell’ombra di un’ideologia dominante fascista oppressiva. Si coglie in questo lavoro minimalista e complesso, dalle innumerevoli sfaccettature espressive, l’enorme bagaglio attorale cui Presta attinge per dare verità e concretezza al proprio personaggio, attraversato dai dubbi del presente, sospeso nella memoria del passato e incapace di prospettarsi un futuro, intrappolato in una gabbia di ragioni e sentimenti che non gli consentono un nuovo inizio.
Aldilà del giudizio sugli spettacoli, che in questo Festival sembrano presentarsi come un antipasto bene assortito, tanti piccoli assaggi ciascuno dei quali non ha la pretesa di essere un pasto completo, ci è sembrato di particolare pregnanza l’attraversamento anche fisico della città, l’occupazione dei parchi e delle piazze pubbliche, l’utilizzo per l’occasione di spazi comunali interessanti normalmente chiusi al pubblico, come i sotterranei delle Due Torri di Piazza Matteotti, il tentativo di promuovere cittadinanza attiva in un momento poco favorevole come quello odierno, la ricerca di spazi non convenzionali per le azioni e gli spettacoli teatrali, cercando di creare un contesto di spettatori motivati che non siano semplicemente passivi fruitori.
E’ una scommessa interessante ed ambiziosa che, se agita nel tempo e non solo in occasione dei Festival potrebbe diventare un modello anche per altre realtà e altri contesti.
Emanuela Dal Pozzo