Torna anche quest’anno la cinque giorni aretina dedicata alla terza incognita dell’equazione teatrale: lo spettatore.
Sabato 5 ottobre
La giornata di sabato 5 ottobre prende le mosse, per noi, alle 14.00 dal Teatro Pietro Aretino. Qui si riuniscono i gruppi di spettatori che seguono, durante l’anno, progetti di formazione e partecipazione attiva del pubblico in varie parti d’Italia – da Bologna a Lecce – con una nutrita presenza di esperienze provenienti dal centro Italia e dalla Toscana, in particolare, a riprova di come questo Festival affondi le proprie radici in un terreno fertile. Dopo i saluti, ci si suddivide velocemente in tre gruppi per sperimentare altrettante modalità di vivere il teatro da una prospettiva diversa e in luoghi differenti, seguiti da operatori del settore. Come osservatore, la casualità mi assegna al gruppo guidato da due membri della Libera Accademia del Teatro, che ci conducono nella loro sede, un suggestivo palazzo antico chiuso tra le viuzze del centro di Arezzo, dove gli spettatori fanno alcune esperienze performative basiche, esercizi che permettono loro di esperire una serie di emozioni e pratiche, scelte per dare anche una lettura più approfondita de Il giardino dei ciliegi, il capolavoro checoviano che ha ispirato lo spettacolo di Kepler – 452, che andrà in scena, non a caso, alle 21.30 al Teatro Petrarca. Mimare il gesto del truccarsi, in particolare: quel momento insieme intimo eppure universalmente condiviso dagli attori, che permette – in una visione à la Stanislavskij – l’immedesimazione nel personaggio è esperito dagli spettatori con grande partecipazione. Così come l’esperienza di entrare e uscire dal personaggio attraverso una breve azione e un’altrettanto breve lettura.
Alle 17.00 ci si ritrova al Teatro Pietro Aretino per il confronto tra le esperienze dei tre gruppi. Qui scopriamo che il primo gruppo ha fatto un doppio esercizio – di storytelling e musicale. Mentre il terzo, rimasto all’interno del teatro, ha sperimentato, attraverso azioni basiche, quanto sia importante l’attenzione – sia dal punto di vista dell’interprete che dello spettatore.
Alle 19.00, il secondo appuntamento della giornata prevede un’azione urbana agita forse da un centinaio di spettatori, coordinati da Valentina Romito, intitolata The-NELKEN-Line, un progetto che sta invadendo l’Europa grazie all’impegno della Fondazione Pina Bausch. La performance, composta da una sequenza di sei movimenti ripetuti – che anche i danzatori eseguirebbero disponendosi in fila – è diretta discendente di Nelken, uno spettacolo che Pina Bausch disegnò come sinfonia compositiva seguendo la linea poetica che la contraddistinse dal 1978 in poi, e che verteva sulla scelta di precisi movimenti ed espressioni gestuali – elaborati singolarmente dai danzatori – in grado di esprimere un contenuto emozionale profondo attraverso azioni in sé quotidiane e in risposta a sollecitazioni verbali della stessa Bausch. Il risultato è un progetto transnazionale, oggi in atto ad Arezzo, che si sposa bene con l’idea di fondo di questa edizione del Festival – ossia che, culturalmente parlando, ci si può riconoscere anche senza conoscersi. Il risultato, ovvero l’osmosi che, in alcuni casi, si crea nelle strade aretine tra performer amatoriali e passanti/spettatori ignari sarebbe sicuramente da studiare in maniera più approfondita.
La quarta giornata del Festival si chiude con lo spettacolo Il giardino dei ciliegi. Trent’anni di felicità in comodato d’uso. Firmato dalla Compagnia Kepler – 452, messo in scena al Teatro Petrarca alle 21.30, prende spunto dal nocciolo tematico/emozionale dell’opera cechoviana, ossia dalla perdita non solamente della terra e della propria casa ma, simbolicamente, dei propri affetti e della propria storia – che è insieme la fine di un’epoca ma anche di un periodo dell’esistenza personale.
L’idea di base – ossia mescolare il testo e la trama originali con quanto avvenuto a due cittadini bolognesi sfrattati dal Comune di Bologna, che agiscono in scena – è quanto mai interessante. Purtroppo, però, il risultato finale non raggiunge l’alchimia sperata. Il sensibile squilibrio tra la qualità del testo cechoviano e quello costruito con frammenti di vita e di ricordi reali, la lunghezza di alcune parti che tendono a una certa monotonia, i video volutamente sporchi – si immagina – ma scarsamente significativi e la cattiva dizione, che impedisce di comprendere intere parti del discorso, lasciano perplessi. Al contrario, la scena della festa, dove è l’atmosfera a fondere passato immaginato e presente reale tocca emozionalmente con garbo e intelligenza. Complimenti, quindi, all’intuizione, meno alla sua realizzazione testuale e scenica.
Partecipazione e compartecipazione i due termini cardine dell’ultima giornata festivaliera.
Arezzo ci accoglie con una mattinata luminosa, mentre le sue vie e piazze sono invase dai banchetti del mercatino dell’antiquariato e dai turisti del fine settimana.
La quarta edizione della manifestazione che mettere al centro della discussione teatrale lo spettatore inizia, alle 11.00, nel foyer del Teatro Petrarca dove incontriamo la realtà di Diesis Teatrango, che restituisce alcuni momenti laboratoriali esperiti con giovani affetti da autismo e miranti all’interazione e alla condivisione – aspetti questi propri di qualsiasi attività sociale e teatrale e, in quest’ambito, ancora più significativi.
A seguire, la performance itinerante – all’interno dello stesso teatro – Messaggi d’Amore, che è un collage degli esiti dei laboratori teatrali nelle scuole superiori della provincia di Arezzo e mira a raccontare la storia cittadina, l’esperienza teatrale e il luogo specifico, mentre lo si visita. Un pastiche di esperienze portate avanti da professionisti diversi in ambiti scolastici vari. Indubbiamente educativo e molto partecipato dai giovani, mostra però alcuni tranelli del teatro a scuola. Eccessivamente didattico. Eccessivamente enfatico. Poco espressivo di esigenze ed emozioni proprie dei giovani che lo interpretano, spesso con testi e racconti lontani dalla realtà. E un fastidioso protagonismo di sottofondo. Si spera, in ogni caso, che l’esperienza serva a far innamorare del teatro chi vi ha partecipato.
Nel pomeriggio, si riprende alle 15.30 con il regista teatrale e cinematografico Mario Martone presso il Teatro Pietro Aretino. Argomento dell’incontro, il suo ultimo film ma anche lo spettacolo teatrale, Il Sindaco del rione Sanità – presentato quest’anno al Festival del Cinema di Venezia e tratto dalla commedia di Eduardo datata 1960.
Nell’intervista condotta da Gianfranco Capitta, il primo tema che emerge è la difficoltà di scardinare il canone di Eduardo pur rimanendo fedeli ai suoi testi. In questo caso ci si riesce mettendo in scena la storia non di un anziano boss al crepuscolo bensì di un boss quarantenne, calato in questa nostra realtà dove ci si brucia velocemente – morendo o finendo al 41-bis. Un’idea di Francesco Di Leva (che interpreta il protagonista, Barracano), che dà l’opportunità a Martone di rispettare lo spartito di Eduardo, suonandolo con strumenti diversi. Ossia di evitare i cliché post-Il Padrino e scardinare, al contempo, il canone eduardiano, rimettendo in vita un testo di quasi sessant’anni fa, senza però tradire l’autore, ossia senza trasformare un Natale in Casa Cupiello in un Natale in casa Latella.
Un secondo problema, emerso nella discussione, è stato quello della presa di distanza da quel gusto televisivo proprio dei serial statunitensi e delle serie nostrane, come Romanzo Criminale o Gomorra, che esaltano gli antieroi criminali con uno stile spesso superficiale, patinato o pubblicitario. La risposta di Martone è un mix originale tra Cassavetes e Mario Merola, come racconta lui stesso. Un mix tra quella essenzialità di mezzi e quel gusto documentaristico, chiaroscurale, tipico dei capolavori in bianco e nero del regista statunitense e la realtà multicolore partenopea. Un chiaroscuro stilistico che si riflette in quella dicotomia tra bianco e nero che è espressa nella contraddittorietà del personaggio di Barracano e che Martone rivendica come esempio di complessità – che è sia destabilizzante per lo spettatore, sia esemplare di un’epoca, la nostra, che rifugge la stessa complessità per arrendersi di fronte a una dualità manichea. Un bell’incontro anche grazie alla generosità e intelligenza di Martone.
Il Festival si chiude alle 17.00, nuovamente al Teatro Petrarca, con la Compagnia Piccoli Idilli, che presenta Kanu, spettacolo per tutti dai quattro anni in su. Il valore della narrazione come trasmissione di radici e valori culturali ma anche come valore in sé perché raccontare le fiabe è un meraviglioso esercizio per la costruzione sintattica del pensiero e, traslando, per la costruzione dell’universo logico ma anche emozionale nel quale si muoverà l’adulto.
Bello spettacolo, ottimamente recitato, con canti, danze e musica dal vivo, che riempie il Teatro Petrarca di una multiculturalità di cui si sente il bisogno. Eccellente conclusione per un festival pluridisciplinare che mira alla compartecipazione consapevole.
Simona M. Frigerio
Festival dello Spettatore, Arezzo, sabato 5 e domenica 6 ottobre 2019