Un’inaugurazione che lascia molto perplessi quella del Teatro Regio di Torino, uno dei teatri che vanta una tradizione in Italia tra le più prestigiose e che, negli ultimi anni, ha accompagnato il suo nome a produzioni virtuose o, nel peggiore dei casi, di sobria compattezza.
“Les Pêcheurs de perles”, opera giovanile di G. Bizet, scelta quale titolo inaugurale, che risente di quella forte fascinazione verso ambienti oleograficamente esotici che colpì l’Europa ottocentesca, evoca una storia d’amore contrastata ed impossibile, sostanziata proprio nell’ impalpabile ed eterea partitura (impossibile infatti partire dal più che convenzionale libretto di Eugène Cormon e Michel Carré per trasmetterne la sua più intima significante). Atmosfere dunque che, a parte il riferimento folcloristico, dovrebbero riuscire a veicolarne la delicata valenza espressiva, mantenendo il racconto lieve ed aereo, evitando di appesantirlo con inutili orpelli.
Ora il duo francese Julien Lubek e Cécile Roussat, noto per la sua esperienza nel teatro dei mimi e delle ombre e, alla sua prima esperienza con il teatro d’opera, non volendone tradire la natura, crea, quasi alla lettera, l’universo salgariano creato dal testo .
Ricalcando dunque i profili delineati con la matita copiativa, invece a china in partitura, viene ricreato in palcoscenico un teatrino d’antan: solo a tratti la componente artigianale viene a galla (scena finale del I Atto in cui il mare viene evocato con un telo azzurro e gli uccelli da alcune ombre, mosse a vista dai mimi). L’universo delle miniature indiane, affascinante con il suo contrasto cromatico naïf e la sua poetica, appare però appiattito e semplificato, e l’inserimento dei molti elementi tipici dell’Opéra – Comique ( danzatori, mimi e quant’altro) realizzano uno spettacolo dai tratti elementari e scolastici.
Non è raro imbattersi in pièce arenatesi nella pervicace ricerca di un’estrema aderenza al libretto. Un allestimento che voglia realizzarsi seguendo questi obiettivi può risultare molto più complesso del previsto. Ricreare il fascino di un’epoca senza scadere nel didascalico o nel vignettistico non è cosa facile e ritengo che qui il trabocchetto sia stato teso non tanto dalle intenzioni quanto nella loro realizzazione scenica. Sarebbe stato interessante e anche curioso assistere ad un “ Pecheurs de perles” ambientato in un teatro delle ombre o nella baracca di un burattinaio e forse l’intenzione registica era proprio questa, ma vi è il dubbio che infine abbia prevalso la ricerca di un facile consenso da parte del pubblico piuttosto che il perseguire un obiettivo artistico più mirato: non sempre abbassando l’asticella si ottengono risultati vincenti.
Anche il cast ci è parso solo in parte convincente.
Il fascino della partitura di Bizet si concentra quasi esclusivamente sull’aspetto della scrittura vocale che esige, in particolare per il ruolo del tenore, una scelta sicura.
Il giovane Kévin Amiel impegnato a delineare il personaggio di Nadir, pur volenteroso e professionale nelle intenzioni, non riesce a comunicarne la dolente malinconia ed il marcato lirismo che esige una vocalità dal timbro vellutato e di sicura tecnica .
Molto meglio il bravo soprano Hasmik Torosyan che, senza particolari raffinatezze, ha però interpretato con misura il personaggio di Leila, esprimendo una professionalità curata e raffinata.
Impegnato all’ultimo momento a sostituire il collega indisposto, il baritono Pierre Doyen si portava con giusta misura così come il possente Nourabad di Ugo Guagliardo.
Ben sostenuta dal M°Ryan McAdams l’orchestra del Regio trovava giusta compattezza e colori in una partitura che ne abbonda, anche se la giusta scelta di eseguire la versione originale della partitura, (quella per intenderci andata in scena al Théâtre – Lyrique di Parigi nel 1863 in cui Zurga non viene ucciso e che termina con uno stirato lieto fine) stride molto con la lettura registica scelta.
Buono il Coro diretto dal M°Andrea Secchi.
Teatro gremito per un titolo amatissimo dagli appassionati che, certo orfani del do della romanza del tenore, che non è scritto, mostravano di gradire lo spettacolo.
Visto a Torino il 6/10/2019
Silvia Campana